@Re_Censo #423 Il più grande uomo scimmia del Pleistocene | #LASETTADEILIBRI

Il più grande uomo scimmia del Pleistocene
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Oggi torniamo a vestire i panni della Setta dei Libri per la lettura di aprile 2021. Iniziamo!

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Il libro di cui parliamo oggi è “Il più grande uomo scimmia del pleistocene“, lettura mensile per La Setta dei Libri, è scritto da Roy Lewis, per Adelphi, 1992, anche se la pubblicazione originale risale al 1988. Costo di 11€.

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@Re_Censo #423 Il più grande uomo scimmia del Pleistocene | #LASETTADEILIBRI Roy Lewis

Parliamo brevemente di Roy Lewis.
Roy Lewis è nato il 6 novembre 1913 a Felixstowe, ma ha vissuto a Birmingham, studiando prima alla King Edward’s School, poi ad Oxford, laureandosi nel 1934.
Nonostante una avviata carriera come economista, gli fu offerto il ruolo di editore dello “Statist“, facendogli così cambiare idea e quindi professione, passando così al giornalismo.
Nel 1938 si prese un anno sabbatico, viaggiando in Australia e in India. Al suo ritorno l’anno successivo, si sposò con Christine Tew, ed ebbe due figlie.
Dal 1939 inizia a collaborare al giornale “Vital News“, poi dal 1943 al 1946 ha lavorato presso il “Peking Syndicate” e per l'”Economist” dal 1952 al 1961, quindi arriva a stabilirsi definitivamente in Inghilterra nel 1961, lavorando per il “Times“, fino al pensionamento nel 1971.
Nel 1957 fonda il “Keepsake Press“, per stampare piccoli libri per famiglie, ma diventa una prolifica casa editrice, seppur stampi a bassa tiratura, arrivando a cento titoli pubblicati.
Oltre al libro che lo ha reso famoso, “Il più grande uomo scimmia del pleistocene“, inizialmente pubblicato in sei puntate, cambiò anche titolo, dall’iniziale “The Evolution Man – Or, How I Ate My Father” – “L’uomo dell’evoluzione – o come mangiai mio padre“, ha scritto altri tre racconti, poco prima della sua morte, reinterpretando l’epoca Vittoriana.
È morto nel 1996.

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E ora parliamo di questo libro!
Dalla prefazione, ci viene detto che è capitato in un periodo storico, editorialmente parlando, legato e spinto molto nella direzione del fantascientifico, etichettandolo così in modo molto sbagliato. Per molto tempo è stato poi incasellato tra quelli umoristici, ma in realtà questo libro parrebbe più un saggio o un viaggio nel passato, intento a raccontare storie, quando ancora non era nata la storia.

Sicuramente scritto con una buona dose di ironia, ironia ben pensata ed elaborata, Il più grande uomo scimmia del pleistocene è ambientato nella preistoria e protagonista è una famiglia, o meglio un’orda di uomini-scimmia che prendiamo in un dato momento della loro vita e che seguiamo per molti anni, nonostante però il tempo che scorre su di loro sia uno degli elementi meno esaminati. Il perché è semplice.

Edward, il capofamiglia, è l’esatto opposto di Vania, suo fratello, ancora troppo legato al passato e al vivere sugli alberi. No, Edward è pronto per il futuro e si sente artefice del futuro, della propria vita. È uno scienziato antidiluviano, che osserva il mondo e tutto ciò che lo circonda e cerca di trarne un insegnamento teso al progresso e all’evoluzione. Tramite quindi l’umorismo e gli anacronismi con i quali si auto-raccontano, i personaggi ci vengono presentati e tramite loro abbiamo quindi una visione dell’umanità cavernicola che abitava l’Africa centrale, in special modo l’Uganda, a quanto pare.

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Narratore è uno dei tanti figli di Edward, Ernest che, con sguardo più riflessivo e filosofico del padre, lo osserva e racconta attraverso l’antitesi che c’è tra il fare pratico e la riflessione attiva, filosofica, che gli appartiene.
Allora il viaggio nel passato e nell’evoluzione umana assume un senso diverso.

Con Ernest e la sua famiglia, vediamo come l’umanità, scesa da poco dagli alberi, sia in cerca di protezione, di come sono fatte e strutturate le famiglie e di come vadano a caccia, perdendo familiari ad ogni attacco animale e di come sia necessaria una casa sicura.

La cosa simpatica è raffigurata dai continui riferimenti che Edward fa del futuro, del nostro vissuto quindi, ponendo la sua progressiva ricerca evolutiva come mezzo necessario perché l’uomo cambi e diventi, da preda, predatore, da dominato della natura, a dominatore. Nella Rift Valley di circa 3 milioni di anni fa, l’umanità è in lotta col mondo per sopravvivere. Hanno le sole selci a distinguerli come cacciatori, potenziandoli a dispetto di chi è rimasto sugli alberi. In questa società così presentata c’è così una duplice tensione: al ritorno e al legame col passato, raccontato per mezzo dello zio Vania, e all’evoluzione, al cambiamento, alla realizzazione del sogno umano, di Edward. E ciò che qui Edward capisce è che non può tutto limitarsi a lui. Ma anzi, sprona i suoi figli a far parte attiva del cambiamento, presentandosi ogni giorno con una novità strampalata, per i suoi contemporanei, ma che noi invece riteniamo ovvia, assodata, quasi scontata.

In questo si sviluppa tutta la conturbante contrapposizione che si può avere, avvicinandosi a questa storia. Una contrapposizione che si scontra con il nostro quotidiano così assodato, ma che è però risultato di milioni di anni evolutivi, di certo non facili, che hanno cambiato l’uomo, fino a quello che siamo noi.
E il modo col quale ci viene raccontata questa evoluzione e questa spinta, passa anche attraverso la società del tempo, riproposta da Lewis come un vero e proprio spaccato, una finestra aperta a puntate nel quotidiano del Pleistocene che ci fa saggiare così l’umanità che fu.

Non mancano, nell’umorismo dell’autore, riferimenti storici a quanto la nostra cultura ritiene assodato e lo fa anche con modi, temi, termini, che oggigiorno potrebbero sembrare xenofobi, razzisti, quasi antisemiti, ma carichi di naturalezza e spirito d’osservazione.
Vania, nei suoi viaggi, ci presenta una rosa delle società umane che, come ben sappiamo, non sono tutte coeve tra loro. Quindi ci mostra le orde nere, al sud dell’Africa definite arretrate e dal cranio piccolo, o al nord, con appunto la pelle nera che li fa mimetizzare sotto gli alberi, poi le orde europee dalla pelle bianca, gli Homo neandarthalensis ma anche, giù dai Balcani, verso quella terra sempre in lotta contro immigrati africani che è la Palestina, e di profeti barbuti che mangiano miele e locuste.
E la cosa mi ha fatto preoccupare per la deriva che poteva prendere, ma anche molto, molto ridere.

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Perché Lewis presenta i nostri antenati in un modo molto originale, fresco, decisamente con intelligenza e spirito moderno, per poi incastrarli in un tempo storico avverso, difficile, limitato e tutto da scoprire, dove la conquista del fuoco passa per il trasporto dai vulcani ai villaggi, alla sua produzione “artificiale” e al farlo diventare strumento di scambio.
Così facendo, man mano che i figli di Edward crescono, crescono anche le sue idee, i suoi progetti e le sue speculazioni scientifiche, in contrasto con lo status quo e con quanto poi effettivamente pensa lo stesso secondogenito Ernest.
Mentre la loro orda diviene da incestuosa a una società esogamica, perché è nell’intrecciare il sangue che si da più possibilità all’evoluzione di fare il suo corso, cresce e si sviluppa. Decisamente lontana dalla società civilizzata, ne è però precursore e ne delinea le basi.

Si giunge ad un finale che però non è un finale vero e proprio, perché è parte di un tassello che fa parte del succedersi di tanti tasselli, che si incastrano nel lungo percorso evolutivo dell’umanità.
Nel caso specifico, si capisce anche il perché del titolo originale e, soprattutto, del perché è stato quindi cambiato.
Chi sia realmente il protagonista della storia e come e perché le sue azioni lo abbiano portato irrimediabilmente a quella conclusione, che se a me ha fatto intristire un po’ il cuore e fatto venire il magone, ci mostra ancora una volta quanti e quali sono stati i passi fatti e quanti ancora quelli da fare, tutt’ora!

Basti guardare infatti alla condizione della donna, così ben delineata in quella che si pensa sia quella dell’epoca, fattrice della prole, cercatrice di cibo per l’uomo, da bastonare per punire o per fare propria, come se fosse una proprietà dell’uomo.
Una ironia alquanto sottile, per come è presentata, ma decisamente strumentale a come poi non è tanto diversa da questa visione ancora così tossica che si ha tutt’oggi e che confina la donna in un angolo della società.

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Il più grande uomo scimmia del pleistocene, non può per me definirsi un fantascientifico, quanto una narrativa fantasy, storica, umoristica, quasi filosofica, che ci accompagna in una retrospettiva illuminata sulla società di 3 milioni di anni fa, dove non c’era una morale, non c’era un’etica e l’uomo aveva meno sovrastrutture, era più animale che umano, eppure Lewis è riuscito a mostrarcelo molto più somigliante a noi, come se fossimo già a portata di schioppo, dietro l’angolo evolutivo e come l’uso anacronistico, contrastante, fuori dalle caratteristiche proprie del Pleistocene, sia lo strumento narrativo, quasi l’escamotage migliore, col quale creare e tramandare storie, proprio, come ho detto all’inizio, in un momento in cui la storia ancora non c’era e solo da poco, nella difesa offerta dai falò notturni, l’uomo iniziava forse a raccontarsi storie e a buttare il primo pigmento sulle pareti delle caverne.

Un viaggio incredibile, bello, rilassante, coinvolgente, divertente e sicuramente disintossicante.

Adesso però ditemi la vostra, vi aspetto nei commenti qui sotto, mi raccomando!
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Pubblicato da Re_Censo

Re_Censo è un nome inventato, gestito, prodotto e presentato da "OIRAD Studio d'Arte Grafica di Piedimonte Dario". Format di videorecensioni di libri, fumetti, manga, anime, film e telefilm.

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