@Re_Censo #466 La Fabbrica | #LASETTADEILIBRI

La Fabbrica
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Oggi torniamo a vestire i panni della Setta dei Libri per la seconda lettura di due di ottobre 2021. Iniziamo!

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Questo mese, con La Setta dei Libri, abbiamo letto “La Fabbrica“, edito da Neri Pozza 2021, in questa brossura da 18€, ma la pubblicazione originale risale al 2013 e l’autrice è Hiroko Oyamada.

@Re_Censo #466 La Fabbrica | #LASETTADEILIBRI Hiroko Oyamada

Hiroko Oyamada, è nata e ha sempre vissuto a Hiroshima, laureandosi all’Università di Hiroshima nel 2006, in letteratura giapponese. Ha cambiato lavoro tre volte in cinque anni, fatto che ha ispirato uno dei suoi personaggi nella vicenda de “La Fabbrica”, col quale ha vinto il “42° Premio Shincho per i nuovi scrittori” nel 2010 e da allora ha iniziato a lavorare part-time come editorialista in una rivista locale.
Nel 2013 ha vinto il “30° Premio Oda Sakunosuke” per una raccolta di racconti e pubblica la novella “Hole”, vincendo il “150esimo Premio Akutagawa“.
Nel 2018 pubblica il terzo libro, una raccolta di racconti intitolata “Giardino“.
Oyamada vive tuttora a Hiroshima con il marito e la figlia.

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La Fabbrica vede per protagonista, inizialmente, una ragazza al suo ennesimo colloquio di lavoro.
Ma in realtà il racconto poi diventa polifonico.
Sono più protagonisti che si raccontano, ognuno di loro in prima persona, così da farci seguire il flusso dei loro stessi pensieri. Sono loro stessi quindi che vivono, si muovono e lavorano all’interno di questa fabbrica misteriosa, svolgendo le loro mansioni senza sapere effettivamente chi siano gli altri, degli altri reparti, o addirittura il perché del loro stesso lavoro.

Neanche il tempo viene raccontato in maniera lineare, ma è alquanto fluido, quasi metafisico in un raccontare che non ci fa comprendere mai con ferma certezza in che punto della linea temporale siamo, anticipando i fatti, per poi osservali all’indietro, o guardando in retrospettiva, non solo da un “capitolo” all’altro, se di capitoli possiamo parlare, ma anche da un capoverso al successivo.
A sottolineare questo flusso temporale continuo, anche graficamente il testo è impaginato come un’unica interminabile colonna di righe in successione, senza alcun capoverso, un andare a capo, nemmeno quando ci sono i dialoghi e i rapidi botta e risposta dei personaggi.

Oyamada sviluppa i personaggi con una caratterizzazione molto realistica, così come fa con l’ambiente, tratteggiando questo con linee alle volte un po’ dark, misteriose e decisamente fantastiche, incastonandole però in una realtà vera, quotidiana. La fabbrica stessa sembra un personaggio, fisso, all’apparenza immoto, grigio e immenso, di cui non si percepisce la reale grandezza e forma.

Yoshiko, fresca di laurea e reduce dall’ennesimo lavoro (personificazione dell’esperienza dell’autrice), si avvicina alla fabbrica per un colloquio, proponendosi per un posto di cui non sa nulla e viene scaraventata nel Reparto dei Distruttori dei documenti. Il suo compito è semplice, sbarazzarsi di tutti i documenti che arrivano nella sala, senza leggere e senza domandarsi cosa siano.
Veniamo a sapere che il fratello di Yoshiko, Ushiyama, che prima si occupava di informatica, viene assunto per via interinale come correttore di bozze, cosa che dovrà fare alla vecchia maniera, non con un computer, ma con carta e penna, cosa che lo destabilizza e che lo porta a dormire sul posto di lavoro. Un pesce fuor d’acqua.

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Già solo con questi due personaggi, fratello e sorella, la vicenda è mostrata sotto una luce strana, surreale.
Nessuno dei due sapeva che l’altro lavorava lì, sino ad un certo punto, perché poi è ovvio che poteva succedere una cosa simile, visto che si sottolinea che, in città, tutti si ritrovano a lavorare in quell’ambiente o in aziende collegate con la fabbrica.

C’è poi Yoshio, un briologo universitario, che senza possibilità di scelta, viene indicato dal suo professore per lavorare in azienda. Il ragazzo, che non ha grandi relazioni sociali, chiuso in se stesso, è catapultato in un compito che non capisce. Inverdire i tetti della fabbrica, da solo, studiando da solo i muschi lì nei dintorni, aprendo alla narrazione uno sguardo ambientalista in cui però la direzione stessa della fabbrica non sembra crederci a fondo.
Questa sensazione, di essere appeso, non seguito, lasciato in bilico, ci è trasmessa dalla sua stessa impotenza e il combattimento che nasce nel lettore è semplice: o stanno nascondendo qualcosa di poco ecologico, o non hanno alcuna intenzione, ma devono smaltire soldi sporchi.

Ovviamente sono anche altri i personaggi che si incontrano nel libro, tra corridoi, stanzoni e uffici. Ma la sensazione generale che si ha è quella dei dipendenti stacanovisti, rigidamente infilati in una classifica gerarchizzata dal tipo di contratto, a tempo determinato o indeterminato, più che dalla funzione, e dal tipo di badge che si ha appeso al collo. Tante caste che non devono assolutamente mischiarsi tra loro.

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Poiché leggo spesso, nelle ricerche per questa recensione, di un umorismo kafkiano e io non so a cosa associarlo, non linciatemi, vi dico la mia, semplicemente, partendo dall’umorismo, che è molto sottile, ma neanche di chissà quale importanza nella narrazione dei fatti.
Sicuramente caratterizza alcuni dei personaggi, solleva la tensione della narrazione, ma nulla di più.

Ciò che mi preme molto condividere è la forte tensione che si sperimenta sul posto di lavoro, come un obbligo che si vive forzatamente, in un contesto sociale così incasellato in ruoli e gradi.

Ma allo stesso tempo anche come questo si rispecchi su più realtà, quella personale, della famiglia, delle relazioni, dello status sociale.
Il lavoro, anche il più precario e umile, anche il meno retribuito, è pur sempre un lavoro ed è bene e meglio tenerselo, invece che dover sopportare l’onta della disoccupazione. Una pressione sociale tale, che spinge i lavoratori, la maggior parte, Yoshio non ne rientra, a non domandare cosa sta facendo, il perché, ma lo si fa e basta. Silenziosi automi che vanno incontro al loro destino di ingranaggi di un meccanismo che non si conosce.
Yoshio, per sua natura invece è controcorrente, non riesce a capacitarsi che percepirà uno stipendio senza portare alcun risultato.

La storia, infine, si tinge di mistero quando il briologo riceve una ricerca sulla fauna che circonda la fabbrica. Animali che solo lì sembrano vivere, che non si trovano altrove e che sono sottoposti a non si sa cosa da parte di alcuni dipendenti della fabbrica. C’è un’intera parte, nel terzo step che abbiamo letto nella Setta, in cui si riportano le descrizioni di almeno tre animali della fabbrica. Il pensiero è che avranno di sicuro importanza. Non avrebbe senso leggere una puntata di Super Quark, dedicata al mondo della natura, se questi non avessero un ruolo importante.

E infatti arriviamo al momento nel quale, lungo il tempo che scorre, alcuni dipendenti si interessano ai cormorani, ma poi non se ne cava alcun ragno dal buco, sembra un fallimentare buco nell’acqua. Una certa insoddisfazione arriva a crescere nel lettore, quando si è a poche pagine dalla fine e ancora non si è capito che importanza possano avere nel contesto della fabbrica e quale ruolo ultraterreno ha il complesso di edifici che somiglia a un gigante steso di fronte all’oceano, che separa gli operai dal mondo reale e li costringe e vivere separati da questo, come se non esistesse affatto, in un contesto autosufficiente di servizi impeccabili e variegati.

Ebbene, il finale è sconvolgente, raccapricciante, ma sicuramente distintivo di una narrazione che, potevamo prevederlo, andava a raccontare in maniera originale una metafora nascosta nella fabbrica che regola la vita dei suoi dipendenti, ne scandisce il tempo e alla fine mostra il destino di chi arriva ad una specie di perdizione.
Una conclusione che stranisce, che crea confusione, incredulità, ma che interroga e lascia sconvolti, pensando a quale destino vanno incontro i tre personaggi che abbiamo imparato a conoscere, a riconoscere e con cui abbiamo familiarizzato e patteggiato.

Diventa difficile afferrare un unico significato da questa storia, come se fosse fumosa e non avesse neanche senso cercarlo.
Forse è un viaggio di introspezione per capire il mondo del lavoro, la rincorsa e la ricerca per soddisfare i requisiti e andare allo step successivo, di chi, all’interno del meccanismo, non abbia null’altro da pensare se non il produrre e essere efficiente.
Ma dopotutto, leggendo il racconto non è difficile trovare domande e interrogativi sparsi qua e là, più o meno sottili, più o meno percepibili che devono portarci a cercare una risposta, che però è sfuggente.

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Insomma, pensavo, arrivato a metà, di aver trovato il mio primo libro come Adepto Nero e invece, sarà il senso di disagio, l’angoscia, di inquietudine e il forte mistero nascosto in una tensione che arriva a crescere ma che non ha il tempo di manifestarsi, questo libro mi è piaciuto, forse proprio per l’inquietudine che l’autrice Oyamada è riuscita a passare nelle sue descrizioni.
Certo, mi sarei aspettato una spiegazione, vista anche l’accuratezza con la quale il mondo del lavoro e la società giapponese sono tratteggiate, ma alla fine sta tutto lì, nel modo brusco col quale tutto finisce e in quell’inquietudine che prende il sopravvento.

Vi ringrazio per la visualizzazione e per aver passato del tempo assieme! Come sempre, il libro è nel link affiliato, così potete recuperarlo!

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Pubblicato da Re_Censo

Re_Censo è un nome inventato, gestito, prodotto e presentato da "OIRAD Studio d'Arte Grafica di Piedimonte Dario". Format di videorecensioni di libri, fumetti, manga, anime, film e telefilm.

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