@Re_Censo #286 L’ Uomo che trema | Premio Napoli

PREMIO NAPOLI
L’UOMO CHE TREMA

Continuiamo a parlare del Premio Napoli e con lui il terzo dei tre libri da leggere per la sezione narrativa. Parliamone assieme! Iniziamo!

Il terzo libro che ho letto è L’UOMO CHE TREMA, edito Einaudi Editore nel 2018, rilegato con cartonato e sovracoperta con in copertina un… lenzuolo. Con tutte le immagini che evoca questo libro, hanno scelto un soggetto intitolato “melanconia”. E vabeh. Vi dissi di tenete bene a mente la grammatura delle pagine de IL VESUVIO UNIVERSALE, stesso editore, perché quelle erano eccessivamente grosse. Non ne capisco il senso.

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Chi è Andrea Pomella?
Nato a Roma nel 1973, posso dire ben poco per due motivi. Il primo è che online c’è poco, se non che ha scritto monografie su Caravaggio e Van Gogh, prima di dedicarsi alla narrativa e a collaborazioni con testate giornalistiche come Il Fatto Quotidiano e DoppioZero, che il suo libro Anni Luce, è stato in lizza nel 2018 per il Premio Strega. E il secondo motivo è che, in realtà, la sua vita è tutta o quasi, ma una buona parte lo è, all’interno del suo ultimo libro, appunto l’Uomo che Trema.

Ho letto pochissimi altri libri il cui tema era la depressione, come la si vive e come si cerca di risolverla. Ero un po’ restio, alle prime pagine, visto proprio il tema affrontato, ma devo dire che Pomella ha avuto la capacità di calamitare il lettore nella propria vicenda personale e attraverso questa e il modo col quale l’ha raccontata, ad ogni pagina mi veniva sempre più voglia di leggere e di saperne di più. E il motivo è semplicissimo, quanto forse il più misterioso e profondo.

Andrea Pomella scrive della propria vita, del proprio dolore e affanno, ma è come se stesse scrivendo della mia stessa vita. Ora, io non so se soffro di depressione, se ne ho sofferto, o se c’è qualcosa in me che non funziona bene, anche se ne ho il sentore sinceramente ma questa è un’altra storia. Ma ad ogni capitolo mi sembra che lo scrittore stesse dandomi gli spunti e quasi gli strumenti per entrare nel mio vissuto e studiarlo meglio.

Ho forse usato poco tatto quando, all’incontro avuto in Fondazione il 16 novembre, gli ho detto che sembrava appunto stesse scrivendo di me. E che la cosa mi piaceva. Quindi ne approfitto, caso mai dovesse leggere questo articolo, per scusarmi.

Pomella soffre di depressione maggiore e pensa di soffrirne sin da piccolo. I suoi sono attacchi che sfociano nel panico e questo si scarica sul fisico, impedendogli di muoversi, non riuscendo a respirare, somatizzando con dolori alla testa e tutta una serie di, possiamo definirle, sintomatologie a cui nel corso del tempo ha dato un nome per farle comprendere alla compagna.

Qui, da poco trasferitosi in una nuova casa, Pomella racconta di come sia ricaduto in un nuovo ciclo depressivo, molto forte, improvviso, che lo ha colto sul posto di lavoro dove ha trovato l’aiuto e il conforto della sola collega che ha capito la sua situazione, senza che lui le avesse detto nulla.

La prostrazione, la sofferenza dell’autore, è analizzata come se in questo libro stesse in una continua psicanalisi, ma senza stendersi sul lettino e parlare col medico. Sviscera da solo il proprio quotidiano, da quando si alza al mattino, fino a quando torna a coricarsi sperando di riuscire a prendere sonno. In questo buio perenne, di una vita difficile da vivere, alla quale non può dare un senso e quindi non capisce come facciano gli altri a trovarlo e nel frattempo anche a essere felici, Pomella continua a scavare nel suo passato attraverso la sua vita presente. E lo fa attraverso il legame che ha col proprio figlio. Forse inconsciamente e poi con più consapevolezza, questo percorso lo conduce a riaffacciarsi sul suo passato e in particolare sull’abbandono subito dalla fuga del padre, cosa che mi lega ancor più all’autore, e dal conseguente abbandono al padre che Pomella stesso compie per autotutelarsi. Cosa che ancora una volta mi lega a lui. Ma appunto, questa è un’altra storia.

L’autore riesce così a intraprendere un percorso di guarigione con i farmaci e con quelle prescrizioni che solo un medico può dargli. Ma anche con gli psicologi ha un rapporto particolare e il non sentirsi in sintonia con questi, gliene fa cambiare alcuni, arrivando, nel corso del racconto, ad uno che a differenza dei precedenti riesce a empatizzare, a ricordare il vissuto del paziente e a sistemargli la posologia.

Tra questa e il percorso che intraprende per spezzare il cerchio e impedire a se stesso di fare del male al figlio, come lui ha subìto dal padre, Pomella arriva ad una scelta dura, difficile, molto sofferta, ma che a dispetto di tutto questo lo rende tranquillo come non succedeva da tempo.

Nel momento in cui prende la decisione più difficile e sofferta, il momento nel quale sentivo i miei battiti aumentare e diventare simili ai suoi (se dal libro questi possano scambiarsi e io lo credo possibile), Andrea Pomella è riuscito a smontare tutto quanto ha iniziato in questa narrazione, rompendo le catene, spezzando le zone di buio, lasciando che le cose accadano, risale la china. Sembra quasi di sentire il respiro dell’autore, da ottundito e ovattato, risalire una china in bicicletta e poi, a fiato trattenuto, riuscire ad arrivare sulla cima e respirare senza più fatica a pieni polmoni.

Come è ovvio che sia, quando si parla di malattie così importanti e difficili, profonde, non si può parlare di guarigione, ma questa possiamo di sicuro augurarla a Pomella che, con questo sforzo in prima persona, di parlare e raccontare come in un grande colloquio, della sua depressione, ci ha fatto un regalo immenso, un viaggio profondo, avvolgente, quasi disperato, che si conclude con una forte speranza, intimamente coerente e legata a quanto ha raccontato sino a quel momento.

In una organicità che spazia dallo straziante a moti di più alto respiro e illuminati dalla più forte speranza, L’UOMO CHE TREMA è un libro avvincente, una storia vera, viva, pulsante, che magnetizza il lettore e che di pagina in pagina lo invoglia, indirettamente, a scendere dentro se stesso così come fa l’autore con la propria vita. Una autoconsapevolezza che combatte con lo spirito di sopravvivenza e autoconservazione, sfidando i legacci del buio e della depressione, arrivando ad intrecciare se stessi con l’autore in una intimità quasi familiare, personale.

Un libro di cui avevo molto probabilmente bisogno e di cui non finirò mai di ringraziare l’autore per aver reso questo suo percorso su carta.
E voi? Avete mai sofferto di depressione o vissuto con chi ne soffre? Avete letto di depressione e consigliate qualche altro libro a tema?
E se avete letto L’UOMO CHE TREMA, lasciatemi la vostra impressione a riguardo nei commenti qui sotto, sarò felicissimo di leggere cose ne pensate!

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Vi ringrazio per la visualizzazione e aver passato del tempo assieme.

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