@Re_Censo #550 Dalla collezione di mio nonno: “Neanche con un morso all’orecchio”

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Oggi parliamo di un libro che mi ha prestato mio nonno. Dopo “Il Socio” e “Privilegio”, parliamo di “Neanche con un morso all’orecchio” scritto da Flavio Insinna, che non sapevo come scrittore, ma che mi ha piacevolmente sorpreso.

Flavio Insinna è nato a Roma il 3 luglio 1965. Diplomatosi nel 1986, abbandona il desiderio di entrare nell’Arma dei Carabinieri e si iscrive, spinto dalla sorella, alla scuole di recitazione di Alessandro Fersen, per poi diplomarsi nel 1990 al “Laboratorio di esercitazioni sceniche” diretto da Gigi Proietti.


    Conosciuto maggiormente per essere il Capitano dei Carabinieri Flavio Anceschi, Insinna ha interpretato il personaggio nella serie fortunatissima “Don Matteo“, assieme a Terence Hill e Nino Frassica, per poi esordire alla conduzione televisiva del programma “Affari tuoi” nel 2006. Per il suo modo spigliato, schietto, sincero, senza alcun filtro nello stare avanti alla telecamera, tra i partecipante e il pubblico, Insinna salva il programma conquistando il pubblico a casa, che era in calo, ottenendo grandi consensi di audience, tanto da vincere il Telegatto nel 2007.
    Nel 2008 si dedica al teatro, interpretando poi, nuovamente in televisione, il ruolo del commissario Diego Santamaria, nel telefilm “Ho sposato uno sbirro” e con la direzione di Fausto Brizzi, nel 2009, è nel cast di “Ex”. Nel 2011 esordisce su Canale 5, conducendo con Antonella EliaLa corrida“.
    La sua esperienza spazia quindi dal teatro, alla televisione, sia come attore che come conduttore, ospite e concorrente, fino ad arrivare anche alla radio, nel 2012, col programma “Per favore parlate al conducente” e dopo la parentesi in Mediaset, torna in Rai per la maratona benefica di Telethon e dal 2013 conduce nuovamente “Affari tuoi“.
    Nel 2014, proprio per questo programma, vince il “Premio regia televisiva” come “miglior programma dell’anno” ed è candidato come personaggio maschile dell’anno.
    Insinna è anche scrittore, tanto da pubblicare nel 2011 e poi nel 2014 due libri. Il primo, “Neanche con un morso all’orecchio” e il secondo “La macchina della felicità“, entrambi editi da Mondadori. Nello stesso anno Insinna si presta anche come doppiatore, dando la voce al personaggio d’animazione Disney “Big Hero 6“, Baymax.
    Nel 2015 Insinna dona a “Medici senza frontiere” la sua barca “Roxana” per utilizzarla nel recupero a mare dei migranti siriani, ma la tratta nell’Egeo diventa impraticabile neanche due anni dopo e quando la barca gli venne restituita, la vende per darne il ricavato in beneficenza alla comunità Sant’Egidio.

Copyright dell’editore e di chi per

Il libro in questione oggi è “Neanche con un morso all’orecchio”, ma non è un romanzo come invece è il secondo che ha scritto.
Inizialmente mi sono scontrato con un linguaggio forse troppo scurrile e ho immediatamente pensato “vabeh, eccolo il solito vip italiano che per farsi apprezzare, privo di contenuti, deve mettere una parolaccia in fila all’altra”, ma poi ho voluto proseguire e dargli credito e bene ho fatto, perché persino le parolacce hanno il loro perché in una storia, che è d’amore e, proprio perché  d’amore, soprattutto di dolore.

Flavio Insinna racconta in poco più di 200 pagine, i momenti più dolorosi, concitati, stranianti, strazianti, che hanno condotto il padre, medico di origini siciliane, al pronto soccorso e, dopo un mese esatto, alla morte.

È un libro che quindi, raccontato in prima persona dall’autore stesso, ci mette a contatto con la paura e il dolore stesso dell’attore, attraverso il racconto di quei trenta giorni che diventano così il pretesto per un viaggio indietro nel tempo, nelle memorie di Insinna, rievocandole come per dare forza al padre ospedalizzato, per poter così dargli appigli per risalire, risvegliarsi e uscire dall’ospedale, tornare a casa dove “il branco”, la famiglia Insinna, aspetta il loro capobranco, il padre amato.
Ogni capitolo è quindi in parte legato al presente in cui gli eventi si svolgono, per poi usare quegli elementi come base di partenza per viaggiare nella memoria dell’autore.
    Scopriamo così, presi per mano e accompagnati noi stessi, come Insinna si è sentito accompagnato dal padre sin da piccolo, tutta una serie di vicissitudini che sono prettamente familiari e quindi personali, messe così in pubblica piazza tra le pagine del libro, ma esposte in modo gentile, vero, delicato e non in pasto ai pescecani, senza rispetto e ritegno.

Ma questo libro non è solo un pretesto per cullarsi nei propri ricordi, quanto più uno strumento terapeutico che Insinna prepara per “andare avanti” nella vita, nonostante la morte del padre.
    L’esperienza dolorosa è quindi base di partenza per una guarigione dell’anima, esprimendo emozioni e sensazioni al lettore. Insinna quindi racconta la storia della propria famiglia, una famiglia che con alti e tanti bassi si è amata, si è sempre rispettata e non ha mai mollato avanti alle difficoltà e alle responsabilità, proprio come insegnava il signor Insinna al figlio, perché “un Insinna non si arrende mai”. Nonostante alcuni sketch comici non siano proprio originalissimi, perché li abbiamo già visti in Enrico Brignano, quindi va’ a capire chi sia effettivamente l’autore di certi siparietti o se è l’influenza di Proietti ad aver attecchito in loro, il libro si lascia gustare con una sorta di strano sapore dolceamaro, in questa alternanza di ricordi, di gioie, di dolori, di umorismo che vuole allontanare le prospettive più opache e fosche.

Illudendosi di guardare alla vita passata dell’autore, lontana dal dolore del presente, si indora una pillola che poi però viene comunque somministrata e si sa, quando si toccano certi argomenti o si è bravi nel catturare e convincere il lettore a continuare a navigare in questo dolore, in questa paura della morte, o lo si perde perché la scaramanzia vince e non è bene leggere queste cose.
    Invece Insinna, e qui mi sono sorpreso molto, è veramente bravo. Costruisce frasi e periodi molto ben articolari e ritmati, coinvolgenti, seducenti, strutturati talmente bene che non si può non voler continuare, trascinati nel racconto di una famiglia normalissima, in un inno alla vita, perché fino alla fine il padre di Insinna è vivo e questo mantiene alta la speranza che è tipica dei parenti, dei figli che sperano e desiderano sempre che i genitori non muoiano mai.

Ricordi, pensieri e momenti attuali, sono gli ingredienti che Insinna riesce a intrecciare tra loro, mostrando come la famiglia sia alla base, l’educazione familiare, sia alla base della società, come l’educazione, il rispetto, il ringraziamento e la gratitudine formino persone e cittadini per bene, che si interessano all’altro, come dice stesso l’autore, in un paese, come il nostro, sicuramente molto complicato, difficile per i problemi sociali ed economici che lo caratterizzano. Inoltre, e qui Insinna lo fa con ancora più delicatezza e profondità, è inserito nel racconto anche l’aspetto religioso, di fede personale vissuta da Insinna, che è una grandiosa, semplice, vera testimonianza che rifulge in contrapposizione al dolore, come risposta al dolore.

Quando ho iniziato a leggere il libro, mi sono accostato alla consapevolezza che si trattasse del racconto degli ultimi istanti di vita di un padre, mi sono domandato se fosse il caso di leggerlo, di addentrarmi come nudo e indifeso in tutta una serie di sensazioni, emozioni, situazioni che trasmettevano il vivo dolore, la scottante paura dell’autore, dritta nel cuore del lettore. Perché, come dicevo prima, certi argomenti come la morte, non è mai bene parlarne, è anzi visto come un male da allontanare il più a lungo possibile, tant’è che ai bambini non se ne parla, non li si porta mai ai funerali.
Nella mia vita attuale, con quanto vivo personalmente, leggere un libro del genere, invece che trincerarmi nella paura e nel dolore, mi ha messo in relazione con le sensazione e le emozioni dell’autore, mi ha fatto comunicare con lui, esorcizzare le paure, prendere più consapevolezza e posizione, proprio come gli ha insegnato il padre, “a non mollare mai” ed è proprio lo stesso insegnamento di mio nonno, di stare nelle cose, non scappare, di occuparsene e non arrendersi.

Veramente un bellissimo libro, a maggior ragione forse proprio per il tema trattato e per la bellezza con cui ci si accosta a un argomento così difficile, intimo, personale, ma che ci accomuna tutti. Soprattutto se si esce fuori dall’ottica infantile del “se leggo una cosa simile, succede anche ai miei cari”, perché prima o poi succede a tutti, che leggiamo o meno storie così. Il tutto sta nel come le si vive. E non vi nascondo che ho pianto tanto nel leggerlo.

Vi aspetto però adesso, ditemi voi cosa ne pensate e soprattutto, se l’avete letto, se avete vissuto esperienze simili, come le avete vissute, cosa vi ha suscitato in risposta, o se il tema vi spaventa, cosa vi ha smosso dentro.
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Pubblicato da Re_Censo

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