@Re_Censo #521 Trilogia della città di K. | #LASETTADEILIBRI

Trilogia della città di K.
#LASETTADEILIBRI

Oggi torniamo a vestire i panni della Setta dei Libri per la lettura di aprile 2022. Iniziamo!

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Questo mese, con La Setta dei Libri, abbiamo letto “Trilogia della Città di K.”, edito da Einaudi, nell’edizione unica 2014, scritto da Ágota Kristóf.
È la prima volta che, con la Setta, prendiamo in lettura un’intera trilogia. Anche questa, brossura molto morbida, tipica della casa editrice, copertina liscia. Costo di 13 €.

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Ágota Kristóf è nata a Csikvánd, un villaggio dell’Ungheria, il 30 ottobre 1935.

Non appena impara a leggere, a soli 4 anni, inizia anche a scrivere e dei suoi 14 anni sono le prime poesie e opere teatrali.
Mandata, adolescente, in un collegio femminile, nel 1956 fugge col marito dopo l’intervento Russo avviato per sedare una rivolta contro l’invasione sovietica e sfugge con la figlia in Svizzera.

Al marito accuserà sempre di aver scelto l’esilio e il lavoro in fabbrica, anziché la galera in URSS. Ma in Svizzera impara il francese, lingua che adotta poi per gran parte della sua produzione letteraria, il cui successo arriva nel 1987, col “Il grande quaderno“, a cui seguiranno “La prova” e “La terza menzogna“, tutti e tre rientranti nella trilogia della città di K., nel quale la scrittrice racconta la condizione esistenziale dell’incertezza, della vita senza una vera fissa dimora, della lontananza costretta e sofferta dai luoghi d’origine.
Kristóf muore il 27 luglio 2011.

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Il libro di oggi è quindi “Trilogia della Città di K.”.

Parlare di questo libro è veramente difficile, perché è la storia a non esser semplice.

Protagonisti sono due fratelli gemelli che raccontano in prima persona plurale la loro storia, di come, scoppiata una guerra e iniziata l’invasione, la madre li abbia portati a casa della nonna, una nonna che ha una cattiva fama che si è guadagnata nel tempo, con la morte improvvisa del marito e che odia tutti, soprattutto i nipoti, “figli di cagna”.
I due bambini, veramente molto giovani, iniziano da subito a capire che devono cavarsela da soli e quindi, salvi della loro intelligenza, uniscono le forze e allenano mente e corpo con degli strani esercizi, come quelli matematici, di dettatura, ma anche quelli della fame, dell’esercitare violenza l’uno sull’altro, allo scopo di temprarsi affinché la guerra non li trovi deboli. E una di queste debolezze è l’amore che provano per la madre, che deve quindi essere rifiutato in quanto debolezza.

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Se la prima parte de “Il grande quaderno” è incentrato sulla relazione tra i due gemellini, in contrapposizione con la guerra e la cattiveria della nonna, la seconda parte li immerge invece nella società che li circonda, rendendoci così un po’ anche il polso dell’ambiente in cui vivono, dei loro vicini e così Kristóf ci presenta a pennellate grossolane, con un linguaggio spoglio e molto riassuntivo, scarno di aggettivi e arzigogoli, come i due bambini, ancora senza nome, si mostrano al mondo come fossero un’entità sola e unica, completando le frasi l’uno dell’altro, riecheggiando un pensiero da una mente all’altra e prendendo decisioni all’unisono.
E seppur Kristóf li dipinga come alienati dalla vita, dalla società, scopriamo anche come siano in realtà due bambini tenaci, audaci, ben più grandi di come appaiono. Infatti li troviamo in comportamenti che potremmo definire camorristici, quando minacciano, estorcono danaro al parroco, mentono, però facendo di tutto per aiutare una giovane vicina di casa.

La scrittura cambia invece quando entriamo nel secondo volume, “La prova“, perché nel riprendere la parte finale della narrazione, i due bambini sfruttano quella cattiveria che è in loro, per sfuggire alle mine del confine e decidere, senza in realtà dirlo realmente, di separarsi.

Scopriamo quindi che la prova è proprio quella, la grande prova che devono affrontare è separarsi, vivere non più maniacalmente attaccati l’uno all’altro, perché anche la loro interdipendenza è una debolezza.
Uno va oltre confine, l’altro resta con la nonna, a occuparsi della casa e del piccolo orto.

E la storia si concentra su quel fratello che rimane, lasciando quindi che sia sempre lui a raccontare, proprio come se continuasse a scrivere nei quaderni e noi ne leggiamo alcune parti. Di questa esperienza epistolare ritroviamo quindi le difficoltà di uno dei due fratelli di vivere da solo, come anche il lavorare solo e gli incontri che fa, gli impegni che mantiene o che cerca di mantenere, ma soprattutto si ritrova avanti ad una verità: non ha identità e questo fattore, accompagnato all’essere praticamente ospite della terra della nonna, lontano dalla terra d’origine, riprende le tematiche più vicine alla scrittrice. Ed è qui, quindi, che i due gemelli prendono finalmente una identità più concreta, assumendo dei nomi.

In contrapposizione a questa continua incertezza e instabilità, il ragazzo sembra essere in cerca dell’amore, delle relazioni, nonostante rimanga però adamitico nel rifiutare i deboli sentimenti. Eppure, in quella contraddittorietà che ha caratterizzato l’infanzia dei due gemelli, resta fissa la necessità delle relazioni. In queste e tra queste, arriva un bambino che sembra essere simbolo di grande introspezione, non solo per il protagonista, ma anche per il lettore, il quale è quasi chiamato a rivedersi o a esaminarsi in contrapposizione con la relazione che si instaura tra uno dei gemelli e questo bambino, troppo spigliato e intelligente per la sua età, nella condizione di diversamente abile che lo contraddistingue.

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I capitoli perdono i titoli e diventano più corposi, tra primo e secondo libro, per poi sparire completamente nel terzo, quando finalmente sembra fare ritorno l’altro fratello.

La terza menzogna“, infatti è diviso in due parti e a unire le due c’è un delirio narrativo, veramente potente e trascinante, che però, per non farvi spoiler, tratterò brevemente.

I due gemelli, in questa scrittura a fiume, come flusso di coscienze, è in un turbinio costante e potente che si alterna tra l’io di uno e l’io dell’altro dei due fratelli gemelli, quasi come se i dubbi e gli interrogativi sulla vera identità e reale presenza dei due fosse messa ancor più in discussione.

Sono realmente esistiti? Sono due gemelli?
O ne è esistito uno solo e questo, per non vivere la guerra da solo, ha inventato un amico immaginario, facendoselo fratello?
Klaus e Lucas sono due entità distinte o due personalità di una mente disturbata?

Per rispondere ai tanti dubbi che fuoriescono dai precedenti due libri, la scrittrice sembra voler riprenderne le fila apparentemente scompaginate delle vite dei gemelli, in un flashback tormentato e tortuoso, che si inabissa nel passato e che, episodio chiave dopo episodio chiave, prova a rimettere ordine negli eventi e soprattutto nelle persone e personalità dei due.

La scrittura diventa molto confusionaria, il dialogo inizialmente così frequente tra personaggi, che sottolineava un racconto dialogico delle loro esperienze, quasi scompare, limitandosi alle volte a dei botta e risposta, quasi come se realmente stessero raccontando eventi e episodi di malattia mentale.
Nel fare questo viaggio nella memoria, più lo si ripete, più questo spoglia di finzione, infingimenti e ricostruzioni la vita dei due bambini, il perché siano abbandonati, poi separati e infine così sofferenti.

Ma ancora più sconvolgente è lo scoprire che quanto letto sino a quel momento può non essere stato vero o che, di rimando, quello che si sta leggendo in quel momento non è vero, reale; quale è dunque la realtà e quale la spiegazione fantasiosa, una ricostruzione di un mondo che è però solo ispirazione del vero, ma una sua copia molto falsata, non solo di eventi, ma anche di personaggi e personalità.

Come mi è capitato di dire durante la diretta, cui non credevo di partecipare perché ho letto molto in ritardo tutto il libro, il momento nel quale questo confronto così forte si presenta e spezza la realtà narrativa, è stato per me momento di sconforto.
Non sapevo più a cosa credere, eppure, credendo di aver capito male, m’è bastato tornare indietro di qualche pagina e poi proseguire, per riprendermi dalla sensazione di sconcerto e sconforto iniziali, lasciandomi immergere nella storia che, stavolta, è l’altro fratello a raccontare, come se la voce di una campana non bastasse e fosse necessaria l’altra per capire meglio e far luce.

Ma è una indagine che non riesce realmente a soddisfare, perché allunga tanti eventi nel passato, con la pretesa di voler dire la verità a un lettore che adesso non fa altro che domandarsi “quale sia” la verità.
È un dialogo, questo, che non si sviluppa più tra i fratelli, come nel primo libro, o tra uno dei due e chi lo circonda e con cui è cresciuto e diventato adulto, quanto un dialogo che torna a essere tra se e se, come se le due identità si sovrapponessero, soprattutto in un incontro particolare, vicinissimo alla fine della storia, quando si ha proprio l’impressione che l’io narrante passi da Klaus a Lucas e da Lucas a Klaus, in un rimpallo continuo, come se prima o poi possano (e debbano!) collidere e fondersi in un unico essere, quasi fosse la soluzione per capire cosa accade e a cosa la vita li porta.

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Questa trilogia è una narrazione toccante, trascinante e sconvolgente, che prende a pretesto l’ambiente di decadenza e sofferenza della guerra, ponendoci identità confuse tra chi siano gli occupati e gli occupanti così da permetterci di spostarci in un punto geografico e storico diversi e ripresentare, nel tempo, questa vicenda, ancora e ancora.
I personaggi fuoriescono in maniera tagliente, cruda, coinvolti così in profondità con quanto vivono, che il fatto che il linguaggio usato sia poco abbellito, molto diretto, schietto, senza alcuna divagazione, è una qualità importantissima, che rende veritiero un mondo sporco, decadente, senza luce, senza speranza alcuna, ripiegato su stesso e succube di un destino atroce che perpetua se stesso inesorabilmente, che ci viene presentato sotto forma iniziale di una favola nera e che poi, attraverso un velo di asciutta malinconia, arriva a colpire nel mondo reale, attraverso le relazioni e i dialoghi.

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Questo è stato senz’altro uno dei libri più potenti che io abbia letto con la Setta e, come detto, La prova è stato un bellissimo libro, che avrebbe anche potuto non avere un seguito, ma visto che c’è, credo che sia proprio La terza menzogna ad essere il capolavoro dei tre, in assoluto.
Ora però, ditemi la vostra, cosa ne pensate, se vi è piaciuto o meno e cosa vi ha comunicato, dei molti temi toccati dall’autrice, più di tutti gli altri.

Vi aspetto nei commenti, qui sotto, ditemi la vostra, cosa ne pensate, cosa vi è piaciuto, cosa vi sareste invece aspettati e cosa invece non vi ha proprio dato quella scintilla che speravate di avere!

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Pubblicato da Re_Censo

Re_Censo è un nome inventato, gestito, prodotto e presentato da "OIRAD Studio d'Arte Grafica di Piedimonte Dario". Format di videorecensioni di libri, fumetti, manga, anime, film e telefilm.

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