@Re_Censo #495 Strappare lungo i bordi – ZEROCALCARE

Strappare lungo i bordi
ZEROCALCARE

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Oggi andiamo a Roma o più semplicemente, ci facciamo raccontare una storia da un romano. Iniziamo!

@Re_Censo #495 Strappare lungo i bordi - ZEROCALCARE

La puntata di oggi è tutta dedicata al lavoro di Zerocalcare, approdato non su carta in librerie e fumetterie, ma in streaming, nientemeno che su Netflix!
Assurdo, vero? Invece si, un italiano c’è finalmente riuscito.

La serie è uscita nel novembre 2021 su Netflix ed è composta da sei puntate, che vanno dal quarto d’ora di durata al massimo di 25 minuti ed è accompagnata dalle musiche di Giancane (e non solo), che non conoscevo, ma che, come dice il buon Adriano, accompagnano mirabilmente la narrazione, facendo da magnete emotivo e riflessivo per lo spettatore, accompagnandolo con i sensi nella vicenda narrata.

La storia è quella di un viaggio tra amici, tra Zerocalcare, Sarah e Secco, che da Roma vanno a Biella.

Ma per poter arrivare al viaggio e per raggiungere la destinazione, ci vuole tempo, perché tutta la narrazione si avvia in realtà come un enorme flashback che ci presenta quindi la situazione e le relazioni di questi, chiamiamoli personaggi, a partire proprio dall’età più tenera dell’infanzia.

Il percorso del viaggio non è quindi più quello dei binari, ma quello tra le vite di questi amici ed è narrata in prima persona da Zerocalcare, proprio come fosse un documentario, con tanto di alcune note di metanarrativa, a metà stagione, in cui si vede tanto di truccatrice che lo prepara e di assistenti di scena pronti a girare.

E, ovviamente, sembra scontato da dire, ma non tanto, è raccontata come una serie d’animazione e per poterne parlare, devo fare una premessa importantissima.

Io ho un problema ed è quello che forse, tra gli altri temi ed elementi, mi lega all’autore, cioè non riesco a vedere una cosa e a parlarne se è sulla bocca di tutti.
Deve prima sfumare un po’ e poi posso avvicinarmici, perché non devo sentirmi in una competizione, io voglio vederla con tutta la calma del mondo e rapportarmici col mio bagaglio culturale ed emotivo, personale, senza che sia filtrato da quello degli altri e, allo stesso modo, poi parlarne.

Avevo detto che la premessa era una, no, errore, le premesse sono due; non ho mai letto nulla di Zerocalcare, per lo stesso motivo di cui sopra e quindi non ho neanche visto il film che uscì tempo fa al cinema. Ma ogni volta che al Comicon lo trovavo ad una conferenza, mi incantavo ad ascoltarlo, stesso per le interviste trovate online e ho sempre pensato di avere una certa affinità con la sua sensibilità e sperimentarlo attraverso questa serie, tanto può avermi illuso di esser simili, tanto invece può avermelo confermato realmente.

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Quindi mi avvicino a questa storia senza alcuna precomprensione del suo modo di raccontare e di disegnare, dei significati, simboli, elementi allegorici.

La storia è un tuffo profondo nel suo modo di comunicare e il primo impatto non è il disegno, di cui poi parliamo, ma il romano, l’accento romano, quello strascicato e a denti stretti che io non riesco a cogliere sempre e subito. In alcuni momenti ho dovuto anche fare un “torna indietro di 10 secondi” e riascoltare, ma sono limitato io.

La storia è veloce, rapida, frenetica, alle volte al cardiopalma.
E la corsa si fa sempre più accentuata quando il discorso sembra vertere o avvicinarsi al perché di tutta questa vicenda, al perché del viaggio, per poi essere interrotto, spezzato, nel momento in cui è il protagonista a cedere e a volersi allontanare per non affrontare l’argomento e lo fa o spezzando il tutto con una nota umoristica, che deriva dall’immischiarsi di altri personaggi o della sua coscienza, che subito (per un profano) è ravvisabile nell’Armadillo.

Zerocalcare tocca molti temi e tematiche nella storia.
L’ansia di crescere, il misurarsi con le aspettative degli altri o con quelle che noi pensiamo essere nella loro testa, rispetto ai nostri confronti, già a partire dalla tenera età, quando anche solo uno sguardo in più o un cenno diverso, ci fa sentire diversi.

L’ansia del lavoro, la preoccupazione di mettersi a posto, di riuscire a sfondare, mentre in realtà si è seduti a casa di sconosciuti, a dare lezioni private, che col proprio percorso di formazione non c’entra nulla. Il cercare quindi almeno di essere un elemento positivo nel percorso pedagogico dei più giovani, mostrandosi non per quello che si sa o si fa, ma per ciò che si è.
Un discorso, seppur intriso di angoscia, ansia, panico, forti aspettative, non è mai retorico, paternalistico, ma anzi positivo e propositivo, quasi umile.

A tutto questo poi si aggiunge il carattere della persona, il suo essere introverso, ma sempre corrispondente a un sistema che ci vuole incasellati in ruoli predefiniti e archetipi, dove bisogna a forza mostrarsi in un certo determinato modo o non si riesce a sfondare, a essere vincenti.

Zerocalcare, in questo suo viaggio, che spero non abbia in realtà nessun raffronto con la sua vita vissuta, che quindi non sia, l’elemento centrale della narrazione, realmente accaduto, ci mostra quante cose gli girino per la testa e come queste lo influenzino, come tante cose pesano nella testa e sulle spalle delle persone che così dimenticano di essere creature in relazione e si abbattono sotto questi pesi, che vengono poi sciolti da frasi che non sono ad effetto solo perché belle, ma vere, un po’ ricamate, ma potenti.
E queste arrivano al protagonista solo quando però si mette nuovamente in relazione, tanto da dirlo direttamente ed esplicitamente:

“Noi vediamo solo un pezzetto piccolissimo di quello che c’hanno dentro e fuori. E da soli non spostiamo quasi niente.”

Entriamo anche nella sfera affettiva del personaggio, del come questo sia irrimediabilmente ancorato ad un sentimentalismo adolescenziale, ma che ha anche tutto il sapore della scoperta delle prime volte, la passione acerba, la relazione nuova e quindi il non sapersi inizialmente comportare.
Ma anche il modo difficile col quale aprirsi agli altri e l’ancora più difficile ascoltare realmente, sentire realmente l’altra persona, quando ha bisogno.

E questa cosa mi ha praticamente devastato, perché solitamente noi ci immedesimiamo o prendiamo le parti del protagonista e se fino alla penultima puntata si patteggia con Zero, poi si è irrimediabilmente spostati su un altro personaggio, di cui neanche si ricorda la reale voce, ma che poi però fiorisce, pieno di forza e di vita, come non mai.
Cambiare il punto d’osservazione non solo fa bene, ma ci mostra anche cose, eventi, relazioni, realtà e verità oggettive e soggettive che prima non ci immaginavamo ma con cui dobbiamo poi fare i conti.

La serie animata sembra in realtà lo sfogliare uno dei suoi fumetti.
La linea pulita, curva e secca non appartiene solo ai personaggi, ben caratterizzati e distinti l’uno dall’altro, ma anche all’ambiente che li circonda.

Non stiamo parlando di un Simpson o di Bojack Horseman o dei nuovi Star Trek Lower Deck.
Certo, proporzioni e anatomie non sono affatto reali e realistiche, lo stile è quello di Zerocalcare, figure magrissime, affusolate, tipo spaghetti. Ma il tutto è pulito, chiaro e il tratto della linea resta presente, proprio come fossimo nel fumetto, nei tratteggi, nelle macchie di china, nelle linee tirate per dare profondità e spessore agli elementi, anche a quelli di sfondo.
Nella semplicità della costruzione delle scene e delle inquadrature, la narrazione si spinge avanti come se fosse stata incasellata in vignette che prendono quindi vita e che assumono drammaticità e effetto soprattutto attraverso le espressioni, ovviamente in combinazione con i suoni di cui abbiamo parlato in precedenza.

Questa commistione di elementi narranti, crea una profondità narrativa e anche quindi di lettura degli eventi, quelli del viaggio in treno, ma anche quelli che derivano dai tentativi di Zero di mistificare e allontanarsi dalla ragione del viaggio.
Il suo evitare, essere elusivo, concentrarsi su personaggi come la suora (c’è sempre una suora “con i baffi”!) in realtà sposta ancor più l’oggetto del racconto verso il centro del focus.

E se è anche vero che lui voleva semplicemente guardare una serie tv e non fare una seduta di psicoterapia, alla fin fine riesce a parlare talmente tanto di se, del se del personaggio presumo, che è come se riuscisse a prendere anche parte di noi, di quel senso comune, che appunto ci accomuna un po’ tutti, e che ci interroga, prende le nostre paure e ansie, le risveglia dal luogo in cui le avevamo, stranamente, per qualche istante confinate, per metterci faccia a faccia con loro come se dovessimo affrontarle e, visto che siamo in ballo, ci pensasse lui con questa serie e i suoi discorsi affabulatori a risolvere i nostri problemi!

Ma no, ovviamente non funziona così, sarebbe tutto fin troppo facile, demandare all’autore questo percorso che spetta a ognuno di noi.

Ma il modo col quale si percorre questo viaggio e si giunge alla conclusione è di una dolcezza disarmante, perché è come un invito a prendere quel bambino che è in noi, smettere di consolarlo e mostrargli come affrontare le situazioni, dargli, quindi dare a noi stessi, gli strumenti per farlo e per riuscire.

Quindi si, noi una serie tv volevamo vedere, ma se poi riusciamo a fare anche un po’ di psicoterapia e uscirne un po’ più risolti di come invece è iniziato il tutto, tanto male non è.
E anche se io ho visto le ultime due puntate, praticamente in lacrime, Strappare lungo i bordi mi è piaciuta moltissimo, perché è bello dire a chi si vuol bene che “non è importante che tu ci sia sempre, ma devo sapere che quando tu sei con me, ci sei davvero” e che non serve a niente fare il confronto e desiderare le vite degli altri, solo perché esternamente sembrano perfettamente tagliate lungo i bordi, ordinate e perfette.

Ma anche che bisogna vivere il proprio tempo e il proprio momento, e che

“strappare lungo i bordi, piano piano, seguire la linea tratteggiata di ciò a cui eravamo destinati e tutto avrebbe preso la forma che doveva avere” non ha sempre il potere di ottenere il risultato sperato, che alle volte bisogna osare. Osare finché si è in tempo e che le cicatrici che avremo con noi, superati gli sgambetti della vita, non sono altro che le medaglie che la vita stessa ci darà. “È una cosa che fa paura, ma è anche una cosa bella, è la vita.”

Grazie, Zerocalcare. Grazie Michele.

Non aggiungo altro, se volete, vi aspetto nei commenti qui sotto, discutiamone assieme!

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Pubblicato da Re_Censo

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