@Re_Censo #478 Il più grande criminale di Roma era amico mio | Premio Napoli

Il più grande criminale di Roma era amico mio
Premio Napoli

Terzo e ultimo libro in concorso al Premio Napoli 2021! Iniziamo!

Il terzo libro che ho letto è “Il più grande criminale di Roma è stato amico mio“, edito Bompiani ed è scritto da Aurelio Picca.
Libro in brossura con sovracoperta. Costo di 17€.

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Aurelio Picca è nato a Velletri il 17 Gennaio 1960.

Cresciuto ai Castelli Romani solo con la madre e con un nonno molto severo, ha iniziato a lavorare con lo zio nel suo bar già a nove anni.
Riprendendo in mano la sua vita da scapestrato, ha studiato lettere all’UniversitàLa Sapienza” di Roma ed esordisce nel 1990 con la raccolta di poesiaPer punizione“, mentre nel 1992 è pubblicata la raccolta di raccontiLa schiuma“, finalista al Premio Bergamo 1992.

I mulatti” del 1996, lo portano alla finale del Premio Bergamo e il romanzo “Tuttestelle” del 1998 vince invece il “Premio Alberto Moravia” e il “Superpremio Grinzane Cavour“, finalista anche al “Premio Viareggio“.

Mentre collabora con testate giornalistiche come “Repubblica“, “Il Giornale“, “Il Corriere della Sera“, “Max“, “iO Donna” e “Il Messaggero“, continua a scrivere e a esplorare forme di comunicazioni sempre diverse, avvicinandosi anche alle forme visive, facendo così il videomaker.

Il suo ultimo libro è appunto “Il più grande criminale di Roma è stato amico mio”, edito nel 2020.

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La storia è quella di Alfredo Braschi ed è raccontata in prima persona dal protagonista, che vive una vita da relegato, in nascondimento, lontano da tutto e tutti, dal passato spezzato e dal futuro incerto per le sue stesse condizioni di salute.
Un uomo che ha il desiderio di mettere tutto in ordine, nella sua memoria, nel suo passato segnato dalla figura di Laudovino De Sanctis, come anche nel suo presente, per vendicare la sua amata figlia Monique.

E come avviene tutto questo?
Alfredo ce lo racconta mostrandoci il suo presente in divenire, ritmandolo e alternandolo con continui flashback nei quali racconta la sua vita.
Alfredo è sempre stato attratto dalle donne, ma il suo grande amore è Catherine da cui avrà appunto la piccola Monique.
Ma questo avviene mentre fa l’incontro che gli cambierà la vita, con il malvivente più spietato dell’epoca, appunto Laudovino De Sanctis che in quegli anni andava consolidando il proprio potere e influenza nella malavita di Roma.

Siamo negli anni ’70, a Roma, in quelli che sono chiamati gli anni di piombo, quando si era nel pieno dei sequestri di persone notoriamente ricche per spillare ai parenti corposi riscatti. E Laudovino, detto Lallo lo Zoppo, ha una banda intera a sua disposizione, con la quale pianifica i suoi colpi. Il giorno del proprio matrimonio, avendo conosciuto qualche settimana prima per scambio il giovane Alfredo, lo invita alle sue nozze e gli regala la sua Ferrari.
Da quel momento Lallo diventa un punto di riferimento per Alfredo, senza però farlo mai partecipe dei suoi piani e sequestri, e omicidi, perché possa essere salvo e mai accusato di concorso. Ma Alfredo è più una specie di tuttofare per Laudovino, che così gli sbriga faccende e ricopre varie e diverse mansioni.

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Scopriamo anche il motivo di tale infatuazione, perché Picca ci racconta della figura paterna di Alfredo, praticamente assente, che così è sostituita prima dal nonno e poi proprio da Lallo lo Zoppo.
Ed è proprio la scrittura di Picca ad offrirci uno spaccato della società romana e italiana dell’epoca, attraverso la visione delle malefatte di De Sanctis.

Indagando nel passato di Alfredo, Picca apre un vaso di Pandora, nel quale protagonista scopriamo essere non più il male compiuto dal criminale romano o la condizione sociale e familiare di Alfredo, quanto più una visione nuova e diversa, rispetto agli altri due libri in concorso, del male, come un qualcosa che serpeggia nel profondo delle relazioni, produce tarli, si nutre di azioni e da queste conseguenze ne produce altre ancora, che però mostrano i propri effetti molto in là nel futuro, corrompendo relazioni e vite.

Esempio eclatante del risultato di questa infatuazione di Braschi per De Sanctis è che lui s’è fatto conoscere, nonostante tutto, come compagno del malvivente e si è circondato di altre persone poco per bene. Il male lo ha sfiorato, lo ha infatuato di se, lo ha plasmato e sedotto, tanto che ha messo in pericolo la sua stessa famiglia; Monique, di pochi anni, viene violentata e la madre decide poi di portarla via, scappando nuovamente in Francia e troncando ogni rapporto con Braschi.

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Questa violenza alla bambina amata, poi lo strappo e l’allontanamento e, anni dopo, la morte per overdose della ragazzina, hanno segnato nel profondo Alfredo, che così si è promesso e ripromesso di vendicarla, di farla pagare alla belva che le ha segnato la vita, tanto da farla sprofondare nell’uso delle droghe che le hanno tolto poi tutto.

Il libro quindi ha un motivo per essere raccontato e prende uno scopo, che è lo scopo di Alfredo.
Intriso di tutto questo male, dopo averci navigato per anni, a partire dall’infanzia, consolidatosi poi con il legame con De Sanctis, esploso con le vicende della figlia, Alfredo fa della sua vecchiaia una missione vendicativa.
Nell’esplorare il suo passato, nel ricostruire le memorie, non solo costruisce una specie di difesa o, quantomeno, di memoria pulita dell’amico De Sanctis, raccogliendo testimonianze e documenti che come feticci legge e riorganizza, ma poi esplora se stesso, la sua gioventù, il suo dolore, la sua vecchiaia e il modo nel quale si sta trasformando.
Analizza la sua virilità, la sua possanza, le sue capacità con le donne, il suo desiderio di allontanare il passato e di rifarsi una vita, di riavere una figlia.
Ma poi allontana le donne, chiede loro di abortire, distrugge ciò che costruisce perché in testa ha solo la sua Monique e non possono essercene altre.

Arriva quindi a sperimentare la frustrazione dell’impotenza, mentale perché la figlia è morta lontana da casa e lui non può farci nulla, ma anche fisica e sessuale, traferendo nell’arma dei suoi antenati, che usavano per ammazzare i tori, l’unico tramite col quale sperimentare piacere, soddisfazione e eccitazione e col quale ammazzerà, con sommo godimento, chi ha distrutto la sua bambina e quindi la sua famiglia, la sua vita.

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Il più grande criminale di Roma è stato amico mio, ha un linguaggio crudo, tremendamente realistico, che deriva dal tempo, dal periodo storico, dal protagonista che quindi con le sue vive parole ci trasmette tutto, non solo come contesto, aiutandoci a ricreare l’ambiente e il periodo storico, ma anche nel linguaggio come veicolo della sofferenza di un male che abbruttisce, costringe a vivere la propria vita come un succedersi di eventi dolorosi, di distacco e perdite, annichilimento e continua frustrazione, che annulla la speranza e porta all’autodistruzione, in questo caso anche fisica, viste le condizioni del protagonista.
La tanto desiderata vendetta lo porta così a procedere nel suo quotidiano ad alimentare costantemente il male che lo ha fino a quel momento plasmato e che sembra averlo in pugno, fino all’ultimo istante.

Tutta la narrazione diventa così un procedere, prima lento e cadenzato fatto di flashback che approfondiscono elementi che il protagonista considera assodati, esplicitati poi man mano (come nomi, eventi e fatti), che poi si allunga al presente e rallenta nel risalire una china fatta di sofferenze ma che conduce finalmente al contatto con la verità e che, per forza di cose, pretende di essere affrontata tramite o l’azione immediata, che darà ragione a tutto il male vissuto sinora, o a una epochè, ad una sospensione del giudizio, una sospensione della condanna, che porta alla catarsi e ci dimostra che anche il male ha un limite, anche il male radicato deve fermarsi, laddove non riesce ad essere più alimentato e quindi non ha più dominio, perché la luce della verità spegne finalmente ogni dolore. Quasi come se, conoscere il responsabile possa soddisfare tutto e, al tempo stesso, spegnere la brama e la bramosia della vendetta.

Leggere questo libro è stato alquanto difficile, perché sono completamente estraneo alle vicende dei sequestri degli anni ’70 e il fatto che autore e protagonista presuppongano una conoscenza di nomi e fatti da parte dal lettore, a priori, mi ha messo in confusione. Racimolare poi i pezzi diventa facile, perché man mano, come ho detto, tutto viene spiegato e riordinato nella scrittura, come specchio del riordino mentale di Alfredo.

Ma è stato anche terribilmente sofferta come lettura, quando ho visto che il posto della sofferenza del protagonista veniva soffocato dalla fedeltà e dall’adorazione verso De Sanctis, per poi tornare forte e decisa mostrandoci che il dolore provato per la figlioletta violentata, a neanche cinque anni, che il dolore che tentava di sedare con altre donne, quando Catherine porta via Monique in Francia, che il dolore di un mondo che crolla addosso, con la sua morte per overdose, possa poi diventare, questo dolore, il male che alimenta la vendetta stessa e che dopo anni, possa diventare unica ragione di vita, fino al contatto stretto con la realtà, è soffocante e spiazzante.

Un altro aspetto, un nuovo comportamento del male che viene indagato, esplorato nei suoi effetti e nelle sue trame misteriose, attraverso le gesta di chi vi è invischiato fino alla punta dei capelli e che forse apre gli occhi solo quando rivede i propri idoli con una visione più di insieme, derivata dalle carte degli interrogatori e che creano forse una consapevolezza nuova.
Cosa sarebbe successo a lui, a Catherine e a Monique, se lui non avesse mai conosciuto Laudovino De Sanctis? Come sarebbe andata la loro vita?
Persino la vendetta perde potenza, quando poi si è faccia a faccia con la verità che tutto appiana, tutto risolve, tutto sistema, imprevedibilmente e misteriosamente.

Mi sarei quasi aspettato che questa vendetta, raccontata come bisogno fisiologico, meramente strumentale dell’istinto più basso, venisse compiuta con una cattiveria e una soddisfazione distruggenti e annientanti.
Invece qui, a dispetto del male di Lagioia, questo male smette di avere il potere che sino ad allora aveva e all’insoddisfazione che si crea nel lettore, privato lui per primo da questa vendetta, si sostituisce un senso di speranza, per un male che altrimenti l’avrebbe avuta vinta. Ed è qui che si produce quindi un finale differente, quasi di riscatto.

Sono rimasto quindi molto sorpreso, perché l’andazzo della vicenda non mi soddisfaceva, non era per niente nelle mie corde, finché l’umanità non ha trovato un giusto riscatto, abbandonando gli intenti più bassi e abominevoli, riattivando così il mio interesse.

Insomma, questo ciò che penso, forse non sono riuscito a capirlo a fondo, ignorando le vicende reali del reale Laudovino, mancandomi i riferimenti degli anni di piombo, ma la visione del male qui raccontato merita di essere letta e di insidiarsi in noi, per creare quel certo disgusto e straniamento, per ricordarci chi siamo e cosa vogliamo fare della nostra vita.

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Se volete recuperare il libro, lo potete trovare nel link affiliato e una volta letto, condividete nei commenti qui sotto il vostro pensiero a riguardo. Noi ci vediamo con la seconda lettura di questo Premio Napoli 2021, quindi vi aspetto!
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Pubblicato da Re_Censo

Re_Censo è un nome inventato, gestito, prodotto e presentato da "OIRAD Studio d'Arte Grafica di Piedimonte Dario". Format di videorecensioni di libri, fumetti, manga, anime, film e telefilm.

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