LUCA
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Oggi andiamo in Liguria! Iniziamo!
Oggi parliamo di LUCA, 24° lungometraggio Pixar, prodotto da Pixar Animation Studios e Walt Disney Pictures, con alla regia Enrico Casarosa al suo esordio per un lungometraggio.
Il film, doveva uscire al cinema, ma è stato pubblicato poi a giugno 2021 su Disney+.
La storia penso sia tra le più belle, moderne eppure non pretenziose, che non vanno girando dietro temi socialmente pressanti, facendoci paternali troppo farcite, ma anzi risulta essere una storia davvero semplice, digeribile, immersiva. Andiamo con ordine.
Luca Paguro è il protagonista di questa vicenda ed è una creatura marina, al cui primo acchito potremmo dire sia un “mostro” marino.
Vive sott’acqua con la sua famiglia ed è pastore di pesci. Pesci, triglie, che tra l’altro sono resi come delle pecore psicopatiche, il che aiuta subito nel creare un corrispettivo umano, quindi vero e col quale possiamo subito legarci al personaggio, ma in modo ironico e divertente.
Come tutti i ragazzini che si avviano all’adolescenza, è in cerca di avventura, di nuove scoperte, del nuovo. Così incontra Alberto Scorfano, suo coetaneo, ma che la vita ha portato a far trascorrere il tempo fuori dall’acqua.
Si, perché entrambi scoprono, e noi con loro, che hanno la capacità di prendere sembianze umane, quando completamente asciutti.
Luca e Alberto vivono in una zona sperduta della costiera ligure e Alberto, più estroverso e sicuro di se, incita Luca e lo spinge a liberarsi dalle catene che lo zavorrano alle troppe regole e paure che ha addosso.
Tra queste regole c’è quella, impostagli dai genitori, di non avvicinarsi al mondo degli umani. E Luca ci finisce proprio in mezzo, coinvolto con Alberto in una gara di triathlon, chissà come pronti ad aiutare un’umana di nome Giulia a vincere la gara e guadagnarsi così un gruzzolo.
Luca e Alberto entrano così a pieno titolo nel quotidiano degli esseri umani, tenendo ben nascosta la loro vera natura, aggirandosi tra un corollario di personaggi e personalità molto stravaganti e variegate. Il popolo genovese, o meglio, il popolo umano, non viene etichettato come “italiano” e quindi con dei cliché che lo stereotipizzano, ma anzi come un insieme di personalità, di atteggiamenti: abbiamo il bullo del quartiere con la sua gang, la ragazzina studiosa e volenterosa, un padre silenzioso e misterioso, burbero e protettivo, una quantità di anziani e vecchie signore bisbetiche, curiosone. Tutti però con un compito, tutti con il loro lato avvincente e divertente.
Insomma, non un’Italia pizza e mandolino, come al solito.
In questa, ovviamente, si inseriscono i temi di cui accennavo sopra, che diventano quasi più allegorie.
Abbiamo il primo tema: il razzismo.
Non mostrarsi per quello che si è, perché la diversità è vista male, è pericoloso, meglio truccarsi, omologarsi, mettere una maschera e abbassare la testa.
Luca e Alberto lo fanno per proteggersi da quello che è un insegnamento antico, che cioè l’uomo ha paura dei mostri e li uccide. Perché l’uomo ha paura del diverso. Ma anche le creature marine hanno paura dell’uomo e i genitori di Luca, accorsi per riportarlo a casa, ne sono l’esempio più eclatante.
L’amicizia sincera e la semplicità.
Trovo che Luca provi dei sentimenti molto profondi per Alberto. Il modo in cui lo osserva, quasi come un discente il suo maestro, pendendogli dalle labbra, per poi mutarsi in ammirazione e affetto vero. Soprattutto verso la fine, la tenerezza dimostrata da Luca, forse perché più giovane o semplicemente diverso (nella diversità generale), Luca riesce a dimostrare affetto verso un amico maschio, senza preoccuparsi di passare per altro, senza filtri, senza mediazioni e senza aver bisogno di giustificarsi per il bene che prova.
L’amicizia qui non è uno sfruttare l’altro, ma un rapporto genuino, conoscersi, incontrarsi, ammirarsi, spingersi l’un l’altro sempre oltre nell’esplorare il nuovo, nel crescere e tendersi la mano quando si ha paura o si è bloccati.
Nel fare ricerche per questa recensione, stavo per meravigliarmi dell’assenza di teorie sull’ingenuità di Luca, su quello che sotto sotto potrebbe provare per Alberto, visto il suo modo di ammirarlo.
Invece in questo c’è una visione allegorica anche di come la comunità LGBT+ viva la propria affettività nel nascondimento. Visione forse forzata, vista la semplicità del racconto di Casarosa e volerci vedere sempre qualcosa in più nel rapporto tra persone, oltre alla sola, semplice, bella e bastante amicizia, alle volte trovo sia sintomo di una morbosità eccessiva da parte di larga fetta degli spettatori.
E questo non significa etichettare l’affettività o l’attrazione omo come sbagliata e non degna di essere raccontata. Ho trovato molto commovente il modo in cui Luca guarda Alberto, mentre lui non lo guarda allo stesso modo, perché più sicuro di se e quindi spavaldo nei confronti di Giulia.
L’allegoria della xenofobia.
Quando lo straniero, che è diverso per antonomasia, invade casa propria e addirittura partecipa delle proprie tradizioni, in questo caso la gara di triathlon, senza pensare invece che Giulia, non sapendo, riesce a spronare tutti (se stessa compresa) nel dare il meglio anche in discipline che non gli appartengono. Poteva benissimo far nuotare uno dei due ragazzi, invece Alberto mangia, Luca gareggia su una bici mai guidata prima, lei, umana e non marina, nuota. Nessuno ha un vantaggio sull’altro, tutti però, assieme, fanno squadra.
Poi penso che, film del genere, storie così, hanno una miriade di input e ne lanciano di diversi e personali per ogni spettatore, colpendolo lì dove ne ha in quel momento bisogno.
Evidentemente, mentre vedevo il film con mia madre, io ero più sensibile sull’aspetto dell’amicizia. Ma potremmo trovarne a miriadi di messaggi positivi e costruttivi. Anzi, vi aspetto nei commenti, scrivetemi cosa voi avete tirato fuori, il vostro input personale.
Passiamo allo stile del disegno.
I “mostri” marini hanno colori sgargianti, fisionomie antropomorfe, una sinuosità apprezzabile sott’acqua. Gli umani hanno le stesse linee, la stessa costruzione.
A differenza di Soul che cambia tra l’Oltremondo e la vita sulla Terra, qui non c’è differenza alcuna.
Ma, a ereditare un po’ quello stile, gli scenari sono molto realistici. Forse non iperrealistici alla Soul, ma lo scenario di Portorosso, il borgo immaginario nelle Cinque Terre, è stupendo, non solo per colori e fotografia, ma anche per la disposizione degli edifici, per come questi rispecchino i paesini italiani che inorgogliscono sicuramente nel vederli sullo schermo, con scorci e scenari tipici e che, anche se non si è liguri, ci si riesce a immergere facilmente come fosse proprio.
Al contrario, nel mondo marino, le cose sono molto più semplificate, poco particolareggiate, ma qui penso siano viste e presentate attraverso la lente di Luca, che vede monotonia nel suo quotidiano e ce lo rimanda così come lo percepisce, quasi stinto e monocromo.
A caratterizzare ancor più la pellicola sono la gestualità dei personaggi, la cultura culinaria, oltre agli scorci quotidiani, ma anche alcuni elementi come la Vespa e sicuramente la musica italiana, tra Puccini, Bennato, Pavone, il Quartetto Cetra, Mina e Rossini, oltre a quella creata ad hoc, più tipicamente disneyana. Un modo nuovo che rompe con gli stereotipi del passato, per raccontare il popolo italiano al mondo e penso sia la prima volta che sia stesso un italiano a farlo, nell’immaginario Disney Pixar.
Ultimo appunto è sul “silenzio Bruno” che mi ha devastato i feed di instagram, denotando la poca originalità della gente e l’omologazione, che invece questo film denuncia.
Nel film è usato come se fosse un modo di dire, mal interpretando una frase ed estrapolandola dal contesto. E diventa quasi un mantra, per liberare Luca dalla paura.
Insomma… ancora devo capire e spero che all’estero non si pensi che noi qui ci diciamo l’un l’altro “silenzio Bruno”.
Anche perché al massimo, per risultare di impatto, sarebbe meglio un “Bruno! Fo’ cess’!” che però è poco delicata e gentile!
Luca è un film bellissimo, commovente, ristoratore e pieno di ispirazione. A tratti sicuramente rassicurante, in parte nostalgico come se potesse riportarci a momenti ideali (o idealizzati nei ricordi) vissuti da bambini. Davvero molto bello.
Come vi ho detto, potrei parlarne a non finire, quando qualcosa è fatto bene (non che quando non lo sia io mi trattenga, ormai mi conoscete!), quindi mi fermo e vi aspetto tutti nei commenti qui sotto!
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Ditemi cosa ne pensate, cosa vi è piaciuto, se un po’ di fierezza vi è nata dentro, nel vederci rappresentati in un film Disney con una dose così forte di messaggi o se vi aspettavate qualcosa di diverso o speravate in qualcosa di diverso per i personaggi. E non dimenticate di farmi sapere che messaggio avete ricevuto da questa storia!
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