SOUL
e la polemica sul doppiaggio
Dedicato a mia zia Pina
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La storia di cui parliamo oggi, in realtà non avrei voluto trattarla.
Ma l’8 gennaio è venuta a mancare mia zia e voglio quindi dedicarle questa puntata, prendendo spunto da questo film. Si, perché oggi tratteremo di SOUL, l’ultimo nato in casa Disney Pixar.
Soul è uscito su Disney Plus a Natale 2020, quando tutto era ancora bloccato e al cinema non si andava da ormai 10 mesi (ndr al momento della scrittura della puntata), non che adesso la cosa sia diversa.
Diretto e scritto da Pete Docter, Kemp Powers e Mike Jones, Soul è la storia di un uomo, Joe Gardner, insegnante di musica alle medie, col sogno, ereditato dal defunto padre, di fare jazz. Nonostante la madre e la vita in generale gli abbiano sempre remato contro, quando finalmente arriva l’occasione tanto aspettata, ossia suonare con Dorothea Williams, una nota sassofonista, incappa in un incidente… e muore.
Joe si ritrova nell’Oltremondo quando, non volendo passare oltre, fugge e cade nell’Antemondo, come in un limbo.
Dobbiamo quindi qui dimenticare quelle che sono le concezioni cristiane della vita dopo la morte, perché qui non si fa parola di Paradiso o Inferno, ma di una concezione di Natura come entità autoreferenziale e divina, sviluppata in un Oltremondo e Antemondo nel quale si preparano le anime a entrare nei corpi e vivere le loro vite sulla Terra, guidate inizialmente da alcuni tutor.
Joe, per poter ritornare sulla Terra e afferrare la sua occasione d’oro, si finge un tutor e gli capita un’anima molto datata, che non ha alcuna intenzione di completare l’addestramento e di incarnarsi. Il suo nome è Ventidue.
In questa occasione particolare, la storia ci propone ogni sua piccola sfaccettatura e caratterizzazione: scopriamo come sia questo Oltremondo, quali sono le cose che un tutor deve fare per istruire le anime e quale strana organizzazione vi sia dietro tutto questo, a fare da regia e controllore di questo enorme meccanismo.
Si introducono così le entità che governano l’Antemondo, che stilisticamente si differenziano l’una dall’altra, ognuna con la propria indole, ma tutte con lo stesso nome di Jerry, tranne una, Terry, il contabile.
Lo stile dato a queste entità è il più diverso rispetto a tutto il resto dei personaggi e quasi ricorda lo stile dell’icona “Finder” su Apple. Personaggi bidimensionali, incorporei, molto digitali ed eterei, formati da linee e campi di energia e sembrano quasi dei Picasso, cubisti ma dalle linee morbide e non squadrate.
Tutto il resto dei personaggi si divide in due stili separati e particolari.
Rimaniamo nell’Antemondo per un attimo, per dirvi che qui le anime sembrano dei pupazzetti piccolini, pucciosetti e dolci, molto inconsapevoli di se stesse, fin quando non completano il loro percorso e trovano la loro scintilla e quindi il lasciapassare per la Terra. Hanno dei colori molto chiari e sgargianti, la texture quasi sabbiosa, luminescenti come le lampade di sale che si vedono in giro, e in particolar modo “Ventidue” ci mostra come aspetto e voce siano caratteri dei quali possono decidere le fattezze, perché lì nulla è come sembra e non ha importanza.
A dispetto invece del mondo reale, ed è proprio il caso di chiamarlo così, quello sulla Terra, del quale dobbiamo distinguere i personaggi dagli ambienti.
Perché, se i personaggi sono particolareggiati come filiformi, allungati, dalle forme molto rotonde e alle volte ben poco realistici, all’esatto opposto troviamo invece gli ambienti e l’oggettistica, molto reali, quasi iperrealistici, come delle fotografie la cui luce è calda, comoda, accogliente, confortante. Si evidenziano le texture, i tessuti, la resa della natura, dei veicoli, gli arredamenti degli appartamenti.
Un mondo reale nel quale si scova un mondo sconosciuto e dai tratti meno realistici. Sembra quasi una metafora sulla storia stessa che stiamo osservando e nella quale il codice di immagini ci vuole far immergere: scovare, dietro il reale apparente, una complessa storia fatta su realtà e mondi completamente diversi.
Eppure questo contrasto di reale e irreale, tra ambienti e personaggi, non rovina l’insieme visivo, ma anzi gli conferisce una marcia in più e soprattutto la conferisce alla storia che è forse la più matura uscita da casa Pixar; un mondo realistico del quale si raccontano aspetti lontani ma raggiungibili solo se torniamo bambini nel nostro cuore e dal quale ripartiamo con il messaggio che, solo come dei bambini, possiamo cogliere e portare nuovamente nel mondo reale.
Ricaricati dall’umorismo di alcune scene, dalla leggerezza con la quale anche concetti importanti e potenti vengono raccontati e passati, anche le entità dell’Antemondo sono coinvolte in questo processo, proprio loro che sembrano predeterminate, predestinate e immutabili nel riquadro di un certo compito e ruolo.
Ed è un po’ quello che capita a Joe e a Ventidue, uniti per puro caso in una missione che dia una nuova occasione a Joe, che forse non si è reso conto di aver sprecato la vita sino a quando non è giunta la sua fine, e a Ventidue che altrimenti sarebbe sempre rimasta della sua idea, che cioè la vita faccia schifo e non sia degna di essere vissuta.
In realtà in questo film le morali sono tante, i significati, dietro le metafore, si sprecano e ognuno di noi con la propria sensibilità può trovare il messaggio che fa per se o la propria motivazione con la quale ritornare nel mondo di tutti i giorni a fine film.
Anche la scintilla tanto decantata dalle entità dell’Antemondo, può avere più significati e pesi differenti.
Un messaggio che sicuramente, chi in questi giorni ha deciso di commentare il doppiaggio italiano, non ha colto, non vuole cogliere e non vuole capire.
Prendiamo ad esempio proprio Ventidue che ci mostra come le apparenze non siano importanti e che abbia scelto la sua voce proprio perché fastidiosa e particolare. Ecco, proprio in questo messaggio molti si stanno perdendo, condendo di polemica la scelta di far doppiare Joe, un uomo dalla pelle scura, da un attore dalla pelle chiara, lui come altri in questo film.
La polemica viene molto da lontano e in questo 2020 assurdo, ha fatto il suo bel giro del mondo per ritornare senza una vera conclusione intelligente e che vorrei metterci io, come già ci hanno provato altri, Maurizio Merluzzo tra i tanti, ossia: l’attore, da che mondo è mondo, interpreta un ruolo, finge di vivere una vita, non sua, per passarla al pubblico.
Se già nell’antica Grecia, quando il teatro era uno strumento di pura catarsi, i personaggi erano rafforzati da maschere e costumi che ne caratterizzavano le sembianze, è chiaro che quindi non sia di vitale importanza il physique du rôle, quanto la capacità attoriale del soggetto.
Abbiamo visto come all’epoca di Shakespeare le donne non potessero recitare ed erano gli uomini a interpretarne i ruoli.
Abbiamo visto come ruoli asiatici siano stati interpretati da occidentali e ruoli di persone scure siano stati rivestiti da gente pallida col cerone nero in faccia, perché è questo che fa un attore, spoglia se stesso della propria identità, per vestire quella del personaggio che deve raccontare, perché passi quella personalità e non la propria, come invece ha fatto Nicole Kidman per Grace di Monaco, soppiantandola e facendola sparire.
Seppur io trovi ingiusto che in certi mestieri non si dia ampio spazio, il giusto e dovuto spazio, a persone dalle personalità e sensibilità differenti, dare un ruolo o una parte sul palco o dietro un leggio a chi, per sua natura non è uguale a ciò che si deve interpretare e doppiare, non può essere tacciato di razzismo.
Come dire che omosessuali e eterosessuali non possano interpretare personaggi di indoli e inclinazioni opposte alle proprie. Sbagliato, perché ad esempio Eric McCormack, etero, sono anni che “fa il gay” in tv, cosa che gli riesce benissimo a dispetto di altri suoi colleghi meno capaci a fare altrettanto.
Ma questo dipende dall’omofobia o dalla capacità di un attore?
Facciamo i seri, dunque.
Anche perché Gigi Proietti e Sean Connery non erano Draghi, eppure ne hanno doppiato uno, i cani non parlano, ma ce ne sono alcuni che in tv parlano da anni e stesso dicasi per i cavalli e non iniziamo a parlare degli alieni! Perché il giorno in cui li incontreremo, potremmo ritrovarci con delle denunce per il modo nel quale li abbiamo personalizzati. E lì saranno cacchi amari, non trovate?
Orbene, per concludere, Soul è un film di animazione meraviglioso, dal ritmo incalzante, dalla fotografia iperrealistica e allo stesso tempo fiabesca, con una storia potente che tenta di essere letta e ricevuta da un pubblico molto adulto, quasi a volerlo sensibilizzare ancora sulla sua stessa vita e sulle occasioni che spreca e perde ogni giorno e lo fa in un modo leggero, fresco, innovativo soprattutto per i codici linguistici e per in particolar modo quelli per immagini, sfruttando una mitologia che non disturba alcuna religione, ma le uniforma e ne da concretezza semplicemente raccontando se stessa.
Un film molto dolce, ma che sa essere anche crudo e diretto, pronto a guardarti in faccia e strigliarti se necessario a farti prendere coscienza di te.
Mi ha commosso in più momenti, soprattutto grazie alla resa degli occhi e delle espressioni dei personaggi, sia nel mondo reale che nell’Antemondo.
Ma penso proprio di aver parlato troppo e se andassi oltre non renderei giustizia al film e alla memoria di mia zia Pina, di cui sento la terribile mancanza ogni giorno, ma che sono sicuro abbia vissuto al meglio delle possibilità, nonostante abbia passato la giovinezza nelle brutture della seconda guerra mondiale e che ora è con gli altri suoi fratelli e vegliano su mio nonno.
Basta così, vi aspetto nei commenti qui sotto, ditemi la vostra!
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