L’inconfondibile tristezza della torta al limone
#LASETTADEILIBRI
Oggi torniamo a vestire i panni della Setta dei Libri per la lettura di ottobre 2020. Iniziamo!
Il libro di cui parliamo oggi è “L’inconfondibile tristezza della torta al limone“, undicesimo libro de La Setta dei Libri, è scritto da Aimee Bender, per Minimum Fax, 2011. Costo di 17€, che ho acquistato sul Amazon, link affiliato.
Aimee Bender, nata nel 1969, ha esordito nel 1998 con una raccolta di novelle. Queste hanno riscosso grande successo sia negli Stati Uniti, (col titolo “The Girl in the Flammable Skirt“), che in Italia, pubblicata nel 2002 da Einaudi (“Grida il mio nome“) e poi ripubblicata da Minimum Fax nel 2012 (“La ragazza con la gonna in fiamme“).
Vive a Los Angeles e nel 2000 ha scritto “Un segno invisibile e mio“, ben accolto dalla critica americana e anche, nel 2010, “L’inconfondibile tristezza della torta del limone“.
Attualmente ogni sua opera è pubblicata proprio da Minimum Fax.
Il romanzo che vediamo oggi, è quindi “L’inconfondibile tristezza della torta del limone“, questa brossura dalla copertina interessante nel feeling tattile, morbida, vellutata e gommosa. La vicenda è raccontata in quattro parti e ancora una volta la struttura ortografica perde ogni orpello di abbellimenti grafici, nascondendo nel testo i dialoghi senza esaltarli con virgolette e caporali.
Protagonista è Rose Edelstein che, poco prima del suo nono compleanno, scopre di riuscire a percepire nel gusto di ciò che mangia, cosa provano le persone che lo hanno cucinato e che hanno lavorato le materie prime che lo compongono. Questa scoperta e, ancor più, il riuscire a sentire cosa prova sua madre, la mettono in forte crisi, tanto che passerà l’intera sua esistenza a cercare di evitare la cucina artigianale, preferendo i sapori vuoti degli alimenti prodotti in serie nelle fabbriche e non dagli esseri umani, con le loro frustrazioni, sogni, paure, rabbie, ecc.
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Un super potere, quello di Rose, che viene presentato in pompa magna, esaltato dalla ricerca e dagli studi casalinghi con il fratello e il suo migliore amico, due cervelloni, ma che poi in realtà va scemando in tutto il resto della narrazione, per poi riapparire sul finale in maniera nuova, forse più matura.
Rose intreccia la sua vita con quella dei suoi familiari e, soprattutto con quella del fratello e della madre, al contrario che del padre, quasi figura messa ai bordi dal suo stesso ruolo genitoriale, sempre sulle sue e misteriosamente legato ai numeri e alla rendicontazione.
Rose scopre quindi che la sua non è una famiglia come tutte le altre, o almeno non è quell’idillio che si sarebbe immaginata, tanto che, proprio attraverso il cibo e il comportamento della madre, viene a sapere della sua relazione segreta con un collega; perché si, se il suo matrimonio è nato sotto i migliori auspici, si è poi rivelato tutta una mossa architettata dal marito e non dal destino, cui credere ciecamente.
Ancora più importante è invece il fratello.
Un secchione che inizia a sperimentare delle sparizioni quotidiane, che si fanno via via più preoccupanti, quando ad ogni riapparizione, segue un periodo di convalescenza in ospedale, fino al giorno in cui, ormai all’università, Rose non lo va a trovare e lo trova in una situazione pietosa e spaventosa.
E di colpo, sparisce dinuovo.
Qui il salto temporale nella narrazione è enorme e ritroviamo quindi la piccola Rose, diplomata e lavoratrice, che però non si è iscritta al college per non allontanarsi da una eventuale riapparizione del fratello.
Se la narrazione, fino a poco prima della sparizione, si era spogliata del mistero del suo potere, da quel momento in avanti, nel saltare, inizia a darci delle indicazioni molto approssimative, che ci mostrano i fatti quasi scollegati tra loro, senza una linea che unisce i punti, presentandoci di punto in bianco un nonno paterno con un altrettanto potere, legato all’olfatto, e un padre con un potere in potenza senza che però lo abbia mai usato, nonostante ne sentisse il bisogno.
Ma la paura era più grande.
A dispetto del fratello di Rose, talmente interessato e affascinato al proprio, da esser svanito completamente in esso.
Emblematico è proprio l’ultimo capitolo, un flashback risolutivo che, a posteriori, che da una visione più chiara della vicenda, nel punto in cui si strappa e salta in avanti nel tempo.
Questa, possiamo dire, è la storia di una ragazzina che scopre di avere una capacità fuori dall’ordinario, ma che ha paura di possederla e inizia a trovare ogni stratagemma per liberarsene o per sentirla il meno possibile.
Se da un grande potere, derivano grandi responsabilità, questa è la storia di come non si vogliano ne le responsabilità, ne il potere. Potere che forse avrebbe potuto renderla una psicologa o una terapeuta fuori dall’ordinario, che avrebbe quindi potuto aiutare molte persone tramite un fantomatico corso di cucina, ma che invece decide, perché non creduta e non aiutata a sviluppare se stessa, decide di svanire, di rimanere nell’ordinarietà del resto dei suoi coetanei.
Esempio lampante di questo problema, di questo potere in potenza e non in atto, è il padre che sapeva di poter annullare il male di chi era in ospedale, ma che non ci è mai voluto entrare in uno, non riuscendo mai ad essere capace di sollevarsi e realizzarsi pienamente, a dispetto del nonno di Rose che, a quanto pare, subiva la sua capacità, ma riusciva a trarne anche un certo piacere.
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E Rose?
Lei, non guidata, non consapevole di questa ereditarietà particolare, si nasconde, sfugge e rifugge, non sviluppando mai il suo potere, ma lasciandosi deliziare dal bistrot presso cui decide di lavorare, anche solo come lavapiatti, pur di assaporare quella vera cucina, piena di vita e non di vuoto e dolore come quella della madre.
Tutto questo sembra però, come detto all’inizio, iniziare a cambiare quando, con la sparizione del fratello e la scoperta della ereditarietà familiare di questa capacità, decide di mostrarsi in pubblico e di essere sostanzialmente se stessa. E guarda un po’, coincidenza delle coincidenze, proprio allora inizia a vivere, a essere se stessa ed è allora che le occasioni iniziano a presentarsi a lei e da lavapiatti prende a cucinare stesso nel bistrot.
Questo libro altro non è che la storia ordinaria di una ragazzina ordinaria con una capacità straordinaria, che non ha mai coltivato e che non ha mai voluto sperimentare per aiutare gli altri, ma per soffrire il meno possibile e che solo dopo la sparizione e ultima riapparizione del fratello, scopre come invece possa essere stimolante, liberatorio, vivere in questa e di questa sua capacità.
E il libro termina proprio laddove la probabile vita straordinaria di Rosa inizia a essere tale, quando cioè inizia a spalancare le ali e librarsi in volo. Peccato che fino a quel momento abbia vissuto nascosta e senza scopo, senza il coraggio di provare. È la storia nuda e cruda di come tanto potenziale, alle volte venga semplicemente nascosto, rifiutato, allontanato, per paura di fare un solo passettino in avanti, nell’ignoto.
Storia intrigante, molto positiva, che però trovo particolarmente inadatta forse nella maniera in cui è stata posta, quindi nel modo in cui è raccontata. Come dicevo, appunto, questa capacità è mostrata, poi nascosta e ripresa dopo che è divenuto un elemento assodato nella sua vita, e lo diventa talmente tanto da sparire anche dalla narrazione. Narrazione che lascia con un amaro in bocca, proprio perché questa tristezza della torta al limone viene esacerbata e poi ripulita in una catarsi tale che quella torta ha perso ogni attrattiva e da triste semplicemente non conta più, perché si è finalmente andati avanti.
Gioiamo brevemente con la protagonista, contenti che la storia si concluda con la sua vera nascita, quando abbraccia la sua capacità, ma delusi perché proprio quando la tristezza prende gusto e si può godere un dolce, tutto questo ci viene precluso, perché ormai il libro si è concluso.
Forse è proprio come nei dolci, un continuo e altalenante su e giù di sapori e contrasti, ad avermi affascinato in questa vicenda e amareggiato in questa narrazione. Un agrodolce, un dolce amaro che stona e prende equilibrio per poi stonare nuovamente, in perpetuo.
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Non so bene come identificarlo, affascinante e disturbante, forse?
Io spero di essermi spiegato, magari anche voi Recensiani e, spero, anche voi Adepti, potete dirmi la vostra, ricordando che questa recensione l’ho scritta e girata prima di partecipare alla diretta mensile, proprio per esporre meglio la mia idea, prima di immergermi in quella di tutti voi altri.
Voi avete letto questo libro? Ditemi la vostra, cosa ne pensate, cosa pensate dei poteri di Rose e della sua famiglia così problematica e particolare e cosa invece vi ha disturbato e non poco, a partire dal titolo così triste e deprimente. Vi aspetto nei commenti qui sotto!
Vi ringrazio per la visualizzazione e aver passato del tempo assieme. E se la puntata vi è piaciuta, ricordate di mettete mi piace e di condividerla con i vostri amici e se ancora non vi siete iscritti, cliccate il pulsante e la campanella a lato!
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