@Re_Censo #107 The Walk

THE WALK

Non mi guardate. Sto ancora tremando di paura. Anzi di terrore. Voi iscrivetevi.
Prima che cambio idea, iniziamo!

Carissimi Recensiani, bentornati sul canale! Io sono Dario e questa è Re_Censo, la videorubrica di libri, fumetti, manga, film e telefilm prodotta dal mio Studio di Grafica OIRAD.
Oggi vorrei parlarvi di un film che ho visto ieri. Un film che mi ha spaventato a morte, pur non essendo un horror, pur non essendo un fantasy, un film di avventura o qualcosa uscito fuori dalla mente di qualcuno. Oddio, è il risultato di un’idea folle. Un’idea poetica, di una potenza inimmaginabile e che fa schiattare il cuore… e nel mio caso le budella. E poco c’è mancato che mi si bloccassero tutti i muscoli. Mi ha fatto rivivere il terrore del mio primo e ultimo volo aereo, che credevo di aver depennato nel momento stesso in cui lo viverlo.

Sto parlando di THE WALK, il film biografico uscito nel 2015, co-scritto e diretto da Robert Zemechis.
Questo, appunto perché biopic, è tratto da una storia vera, quindi mi sento libero di dire, che sarà una puntata piena di SPOILER.
Andiamo in ordine e con calma, che già mi manca la terra sotto i piedi, porca miseria!

Philippe Petit, qui interpretato da Joseph Gordon-Levitt, è un funambolo francese ed è famoso in tutto il mondo, perché il 6 agosto 1974 ha attraversato su una fune, le due torri gemelle del World Trade Center. Il film è raccontato dalle parole stesse di Philippe che apre la  vicenda sotto forma di un racconto del passato. La venatura tipica del bohémien francese si fa subito sentire, non solo per il taglio di capelli e il vestiario del personaggio, ma anche per le luci, l’atmosfera che lo circonda e, soprattutto, dal fatto che si trovi sulla fiaccola della Statua della Libertà, donata dai francesi, appunto, agli americani.

La fotografia di questa scena introduttiva è il prologo eccezionale e il migliore che si possa dare a questo film e toccherà livelli qualitativi sempre più alti a mano a mano che la storia prosegue, fino all’apice del climax, ossia l’attraversamento delle torri.
Nella sua mente Philippe trova che compiere quella impresa è la cosa che deve assolutamente fare nella sua vita. Non c’è cosa più importante, anticonformista, anarchico che esprimere la bellezza lì, con i piedi sul filo e sotto di sé, nient’altro che il vuoto di 110 piani sotto di se.

Ovviamente, storia ci insegna, la sua missione si compie e avviene con un notevole successo. Quindi non vi sto a raccontare come finisce, rovinandovi il finale.  Ma perché ne sto parlando? Perché? Si, vero, perché? Perché, porcaccia la miseria, io soffro di vertigini e mia zia mi sta tartassando l’anima da settimane, che devo vedere questo film. Mannaggia a me che alla fine ho ceduto!

All’inizio vi ho detto, non è un horror, ma fate vedere ad uno che ha la fobia delle altezze, un film del genere, e vedete come si sentirà male! Eh… appunto. La narrazione è tutta un ritmo e un ricamare su note jazz, musiche che mi sono sembrate adattissime all’epoca, ma con suoni che paiono avere del moderno e della forza trascinante eccezionale! Stessa poi la musica di quei momenti clou, mista alla narrazione frontale in prima persona del protagonista, è stata la grande e vera meraviglia e accompagnatrice di quegli attimi di follia e terrore. Senza la musica, che riempiva l’anima, lo spettatore si sarebbe applicato e immedesimato solo nel terrore, nella paura, nel cammino spericolato sul vuoto mortale, ma la sua presenza ha innalzato lo spirito e lo ha reso capace, nel terrore, di sapersi emozionare!
Di grande impatto, spettacolare nella riuscita e nel forte risveglio emotivo che si ha nello spettatore, la “Für Elise” di Mozart ci incanta e ci rapisce portandoci con quel matto di Petit sulla fune, fune che ha calpestato, sulla quale ha volato, danzato, fatto inchini e addirittura steso a fissare il cielo sopra di se, per 45 minuti!

QUARANTACINQUE MINUTI, MA VI RENDETE CONTO???

Io una volta sola ho preso l’aereo per andare a Torino e di lì in bus a Taizé in Francia. E quella volta, con la successiva da Verona a Napoli per il ritorno, è stata decisiva per farmi fissare sulla mia decisione. Soffro di vertigini e non avrei mai voluto prendere l’aereo. Per stare in gruppo, mi ci hanno quasi costretto. Io non ricordo un cavolo del volo. Ricordo di aver stretto le mani sui braccioli. Ricordo la tensione nella schiena, gli occhi serrati, le gambe che continuavano a stringersi e a sollevarsi, perché sentivo che stavo cadendo, che sarei scivolato dalla poltroncina. E poi il nulla. Avrò perso i sensi, non lo so… ma all’atterraggio maledetto, ero lì con un fazzoletto attaccato sotto l’occhio… avevo pianto e non me ne sono neanche accorto.

E Philippe ha passato 45 minuti lì a camminare, a danzare e ad amare. Certo, avrà avuto la sua dose di paura. Ma si è compenetrato in quel filo, era un tutt’uno con lui, tanto da dimenticare, far dissolvere tutto il resto. E ci è riuscito.
Aggiungo un DON’T TRY THIS AT HOME, dicendo che questo è il pensiero che mi è venuto. Ed è un pensiero positivo e felice.

Philippe ha fatto un’idiozia e un qualcosa di estremamente pericoloso. Non bisogna certo emularlo. Ma in questo caso isolato, è riuscito ad esprimere qualcosa. Pazzia, follia, amore, voglia di ribalta, voglia di spezzare catene invisibili che costringono la società, già all’epoca. Avrà avuto questi e mille altri suoi motivi. Ma ce l’ha fatta. In questa missione suicida, ai limiti dell’impossibile, la sua sfida l’ha vissuta. Il suo scoglio l’ha oltrepassato e la sua scommessa con se stesso l’ha vinta. Certo, ci sono molti passaggi che, si vede, sono molto romanzati e resi ancora più scenici per poter ottenere quella tensione narrativa e cervicale nello spettatore. Ma Philippe ci insegna proprio questo. Non mi soffermo sullo studio di personaggi, attori o altro. No. Mi fermo sul messaggio che credo lui abbia voluto passarci.

Non c’è nulla, difficoltà, montagne, scogli, abissi, vuoti assoluti, che non si possa superare, con l’esercizio, la preparazione, il sudore, la temperanza, la costanza. Non c’è vita che non può diventare una storia che meraviglia. Non c’è sfida che non possa essere superata, non c’è storia d’amore che non possa essere vissuta… anche se poi termina come non si vuole, come non si spera.

Il film termina con un pass, un permesso  che venne donato a Philippe per far visita al tetto delle torri. “Quei pass hanno la data di scadenza, ma non quello lì. Quello aveva la data sbarrata ed era stata corretta in PER SEMPRE”. E si chiude con uno skyline dove le Torri, che nel film hanno avuto un’attenzione maniacale per i dettagli e la resa del render 3D fuori dal comune, appaiono, non a torto, spendenti, in primo piano, svettanti sulla metropoli e sul mondo, illuminate in un crescendo fortissimo, dal sole, fino a che i riflessi non annebbiano e oscurano tutto il resto. E la luce gioca su di esse, fendendole come a formare due linee oblique e due, nella loro altezza, verticali. Anche con la morte, al di là della questione di chi sia la colpa, chi siano gli assassini, chi abbia iniziato la cosa, al di là della morte… quelle torri erano vive, erano il segno di un sogno che non finirà mai. E Philippe quel sogno lo ha reso vero, palpabile e riecheggerà nei secoli.

La puntata finisce qui. È un bel po’ atipica, strana… piena di mie paure, ma spero possa invogliarvi a mettere un mi piace, a cercare il film, guardarlo, condividerlo con un amico speciale, condividere il video e farmi sapere cose ne pensate nei commenti qui sotto!

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Pubblicato da Re_Censo

Re_Censo è un nome inventato, gestito, prodotto e presentato da "OIRAD Studio d'Arte Grafica di Piedimonte Dario". Format di videorecensioni di libri, fumetti, manga, anime, film e telefilm.

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